di Franco Russo
cultura, poesia e canto quali strumenti di rigenerazione civile di un territorio scomodo
L’immagine di una Napoli che, per anni ha affidato, alla Camorra il culto dei suoi morti, è quella che oggi ignobilmente, primeggia sulla stampa e nelle immagini televisive. Questa immagine è l’emblema dello stato di degrado assoluto in cui è precipitata la Città nel corso di lunghi anni, nei quali un potere democristiano, si è coniugato, alternativamente, con quello delle sinistra a cominciare dagli anni delle Giunte Comunali di Sinistra per arrivare poi a quelle di centrosinistra ed infine a quella dei desperados di Luigi de Magistris. La battaglia eroica, che Padre Petrone, parroco della Chiesa di Santa Sofia e di San Giovanni a Carbonara, condusse negli anni 80 del XX secolo per impedire che la Camorra politica e non si impadronisse delle costruzioni cimiteriali, terminò quando Padre Petrone, gambizzato da “ignoti” dovette arrendersi abbandonando il campo di battaglia. Il culto dei morti, a Napoli vecchio quanto è vecchio il racconto mitologico e tenuto vivo da quel senso di “Pietas” che faceva parte del patrimonio genetico popolare, si è spento quando è morto il Popolo napoletano che si è immediatamente reincarnato in Plebe. Questa abominevole metamorfosi ha trasformato, finanche l’essenza dell’aspetto esteriore della Città o di alcune zone di essa diventando quell’immagine di degrado oggi riportata dalla Stampa e dalla Televisione. Secondo un mio parere che non attinge a conoscenze scientifiche sociali, antropologiche ed etnografiche, ma a semplici valutazioni consequenziali all’esame superficiale della Storia di Napoli. La Cultura napoletana venne affidata in gestione ad una sorta di intellettuali denominati tali con Decreto della Politica, perché fossero omogenei al sistema pour épater le bourgeois econvincere la massa che essi fossero assisi su una sorta di Parnaso e sul quale traevano ispirazione dalle muse prima di esprimere qualsivoglia pensiero, cosicché la loro conoscenza delle cose si configurava come una scienza esatta. Il Popolo allora, divenuto plebe, smarrì il proprio arguto senso critico .
Ne approfittarono tutti, tutti dimenticarono la propria essenza e financo quella che era una decorazione al valore della Cultura napoletana, ossia la Canzone napoletana, morì dando spazio ai neomelodici.
Dopo questa noiosa, lunga e insulsa premessa, vengo al dunque!
Caro Gennaro Sangiuliano, ora che sei Ministro della Cultura e, pe’ ghjonta ‘e ruotolo, napoletano verace, di quelli che non si sono trasformati in plebe, ma che hanno mantenuto le caratteristiche organolettiche della vera, colta e nobile napoletanità, che ne diresti di istituire un Museo di beni immateriali tra i quali la Canzone napoletana “che sovra tutti come aquila vola”?

La Canzone napoletana è stata ed è ancora, in piccolissima parte, la colonna sonora del Popolo napoletano. Essa, con i suoi poeti , entra nella Letteratura italiana e con i suoi musicisti nella Storia della Musica. Oggi noi abbiamo a Napoli Roberto De Simone, un genio assoluto al quale l’inclita guarnigione di politici che governo l’amministrazione cittadina ha tolto la Direzione artistica del Teatro San Carlo. Roberto De Simone è il massimo conoscitore del ‘600, Siglo de Oro che diede origine alla grandezza di Napoli. Ora è il momento di riscoprire le fondamenta del genio locale: i Napoletani di oggi neppure conoscono la Storia della Canzone napoletana o ne conoscono solo il lato folkloristico, oleografico, superficiale. E’ il momento di ricostituire l’humus in cui visse e progredì, anche ed essenzialmente dal punto di vista culturale, il Popolo napoletano. La Canzone napoletana è lievito per la ricrescita della Città.
Franco Russo