Napoli capitale della musica, senza museo e senza festival

Il legame di Napoli con il canto, quale forma espressiva congiunta di musica e poesia, è ancestrale, viscerale, religioso.

Non a caso, sin dalle origini, gli abitanti del luogo veneravano, quale dea protettrice, la sirena Partenope, creatura mitologica che con il suo canto ammaliava i naviganti. Secondo la tradizione delle Argonautiche, battuta nel canto da Orfeo, si racconta che la sirena si fosse lasciata morire in mare.  Le correnti ne trascinarono poi il corpo senza vita fino alla foce del fiume Sebeto, dove poi sorse Castel dell’Ovo, e dove gli abitanti del luogo le eressero una statua a per venerarla ed evocarne la protezione.

Publio Virgilio Marone-il più importante poeta della Roma antica, autore dell’Eneide ossia dell’opera fondativa del mito di Roma–a Napoli visse gli ultimi anni della sua vita: E Virgilio, a Napoli, fu apprezzato come mago prima che come poeta. I napoletani erano convinti che Virgilio possedesse dei potenti poteri magici che utilizzava per il bene della città. Ed a Napoli giace il poeta mantovano, accanto alle spoglie di Giacomo Leopardi all’ingresso della Crypta neapolitana (Piedigrotta) che, stando alla leggenda, Virgilio mago realizzò in una sola notte.

Il canto e la poesia, come culto popolare, affondano, allora, le radici nel mito e nella leggenda dei luoghi.

E se quello di evocare la musica, come esperienza religiosa, potrebbe sembrare un concetto ardito, deve riconoscersi che, politicamente, l’idea non è affatto nuova.

Furono Alceste De Ambris, dapprima sindacalista rivoluzionario poi successivamente antifascista, e Gabriele D’Annunzio a farvi ricorso quando composero la Costituzione più bella del mondo: vero è che la Carta del Carnaro, legge fondamentale della Fiume liberata, tornata per poco Italiana nella Reggenza del Carnaro,  all’articolo LXIV, così recitava: “nella reggenza del Carnaro la musica è un’istituzione religiosa e sociale:…la musica è l’esaltatrice dell’atto di vita”. 

A Napoli, invece, l’affermazione del principio della musica, quale religione civile, non ha mai necessitato di analogo formale riconoscimento costituzionale: nella città di Partenope e Virgilio mago, la dimensione religiosa del canto costituisce dalle origini un dato consustanziale e trascendente all’esistenza stessa della città ed allo spirito del suo popolo.

Quale esempio concreto di religioso attaccamento all’esperienza musicale, appartiene alla storia recente quel comunitario saluto corale con il quale l’intero popolo della provincia partenopea, come una sola voce, si affacciò al balcone e salutò all’unisono, cantando “abbracciame”, l’emergenza epidemica Covid 19, e le reclusive misure di confinamento domiciliare che l’autorità di governo aveva disposto, imponendo il prolungato distanziamento antisociale anche tra prossimi congiunti. https://www.youtube.com/watch?v=HgDM5GSrUns

E non vi è alcuna terra tanto prolifica che, nel limitato ambito della sua circoscritta conurbazione, abbia giammai espresso una produzione musicale tanto copiosa quanto eccelsa, di portata tale da restare ineguagliabile per bellezza, numero e varietà di genere. E questo è un fatto universalmente riconosciuto, insuscettibile di confutazione. 

L’ artista in fondo è come un albero che si nutre della sua terra, ne assorbe la linfa, e delle radici esprime non solo l’essenza ma anche lo spirito.

La canzone napoletana, peraltro, è tutt’altro che morta.

Il genere classico è apprezzato soprattutto dai giovani. E la città continua ad esprimere un costante fermento di autori, interpreti, sensibilità e nuove esperienze musicali.

A tale patrimonio si contrappone, invece, la scarsa sensibilità, ed in taluni casi l’ostracismo delle maggiori istituzioni musicali dello stato repubblicano.  A Tokyo esiste un museo della canzone napoletana e qui non c’è. I veri posteggiatori sono scomparsi. Piedigrotta è scomparsa e, quando la resuscitano, è una volgare imitazione. Il festival è morto.

La direzione artistica di sanremo, che è pur sempre il festival della canzone italiana, esclude la partecipazione dei più accreditati musicisti partenopei. La sottorappresentazione di questi ultimi alla kermesse sanremese è quantomeno discutibile considerato che, stando agli indicatori cui comunemente si fa ricorso, il gradimento del pubblico nei confronti della new wave partenopea è certamente alto. Sono gli interpreti napoletani infatti a farla da padrone in fatto di cifre per vendite di dischi, streaming sulle piattaforme digitali e visualizzazioni sui Canali Vevo e Youtube.

Gli artisti, indicati quali fiori all’occhiello della prossima edizione di Sanremo, invece, sotto tale profilo, non reggono il confronto con quelli che possono attualmente considerarsi la punta di diamante della tradizione musicale  napoletana.

Si pensi che  Andrea Sannino con la sola “Abbracciame” registra 60 Milioni di visualizzazioni; Franco Ricciardi e lo stesso Sannino con la più recente “Te voglio troppo bene”, in soli 6 mesi, hanno totalizzato 15 Milioni di visualizzazioni ; Geolier “Money”, in un solo mese, ha raggiunto 6 Milioni di visualizzazioni . L’elenco sarebbe lungo da completare, ma i numeri sono tanto più eloquenti se raffrontati con quelli di Giorgia, la più illustre  tra i partecipanti alla prossima edizione del Festival che con il suo ultimo singolo,  da due mesi ad oggi, conta poco meno di 500 mila visualizzazioni.

Non sono solo canzonette. A Napoli, quella del canto non è solo questione culturale, storica, artistica ma vicenda più profonda che involge l’intera dimensione collettiva ed il diffuso sentire popolare.

Napoli avrebbe tradizione, titoli, strutture e requisiti per candidarsi a capitale mondiale della musica

Quel che per una comunità costituisce religione, e ne esprime lo spirito, necessita di templi, luoghi di culto e festività-

Non è differibile, allora, l’istituzione di un museo ed il rilancio del festival della canzone napoletana. Il museo, quale luogo del mito, del simbolo e della memoria, cui affidare la tradizione plurisecolare del vastissimo patrimonio canoro partenopeo. Il festival, quale suprema festa comunitaria, costante rassegna che valorizza una tradizione inestinguibile che si rinnova esprimendo l’anima e la cultura un popolo che nulla disperde del suo bagaglio di passione e umanità nel fluire incessante della storia.

Carmine Ippolito

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