
Dante Alighieri aveva dimestichezza con le questioni di diritto.
Era pur sempre stato un alto funzionario del governo di Firenze.
Rimase tragicamente vittima della giustizia. Fu giudicato colpevole di baratteria, reato corrispondente all’odierna corruzione, e condannato al rogo insieme ai figli all’esito di un processo regolare. Essendo stato giudicato colpevole quale pubblico ufficiale corrotto, dalla condanna ne conseguì l’infamia, istituto che determinava non solo una caduta della reputazione ma anche la privazione di fondamentali diritti.
Non è un caso se nell’opera di Dante il diritto e la giustizia occupano una posizione centrale.
I suoi riferimenti alla giustizia non si trovano solamente nella Divina Commedia, ma già nel De Monarchia.
E se non fosse stato per quella persecuzione ingiusta, e per il conseguente esilio che ne ebbe a tragicamente segnare l’esperienza personale, Dante non avrebbe mai perseverato nello scrivere il sacro poema.
Innumerevoli sono i temi trattati nella divina commedia che investono il diritto. Prima di ogni altro, salta all’attenzione il privilegio: Dante, per accedere, da vivo, nel regno dei morti, si avvale di un pass, un salvacondotto: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare” è la formula sacramentale che Virgilio oppone ai guardiani dei gironi che si avvedono della inconsueta presenza del poeta vivo nel regno dei dannati. La questione rimanda immediatamente all’odierno salvacondotto vaccinale la cui mancanza confina, al contrario, i vivi nel mondo dei senza vita privandoli dell’accesso alle prerogative fondamentali una volta garantite, come incoercibili, dalle Carte costituzionali ancora formalmente vigenti, oltre che dal diritto naturale.
Nella Commedia ricorre poi sistematico il tema della diffamazione: cos’altro è l’Inferno, la “città dolente” dove il Poeta colloca la “perduta gente”, se non quella che oggi si definirebbe una pervicace campagna diffamatoria in danno di cittadini illustri di quella stessa elité Forentina che aveva marchiato di infamia il poeta?
La tematica di diritto più nota di ogni altra riguarda invece le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla violazione dei precetti di legge: il contrappasso.
Nella visione di Dante, che mira a contrapporre il giudizio divino al fallibile giudizio umano,il sistema delle sanzioni presuppone una ben precisa concezione bipartita della pena. Un vero e proprio doppio binario.
Il contrappasso, nell’Inferno, è contemplato o mediante una pena che è simile, praticamente uguale al comportamento che era stato tenuto nel peccare, oppure nel suo esatto contrario. Secondo la concezione dantesca, la pena da applicare a chi si fosse macchiato di un delitto, a chi avesse peccato, è costituita da un male del tutto corrispondente al male compiuto. La prima funzione della pena, nel cerchio dell’inferno, è la vendetta. Occhio per occhio, dente per dente. E mentre nell’Inferno la pena è eterna perché unicamente afflittiva, nel Purgatorio la pena, invece, è espiazione che prelude all’ammissione del penitente in Paradiso. Il contrappasso è in effetti un principio di carattere generale nel Medioevo, non è un’invenzione di Dante. Al contrappasso, nella società medievale, risultavano ispirate le pene corporali, ma agli stessi criteri si ispiravano anche le sanzioni civili e quelle commerciali tra popolazioni diverse. Le ritorsioni seguivano gli stessi criteri che ha utilizzato Dante nell’individuare le pene.
In effetti Dante, rappresentandoci la società del suo tempo, ci permette di confrontarla con la nostra, e offre innumerevoli spunti di meditazione.
Si rivela significativo, durante la più grande campagna vaccinale della storia, un tema in particolare.
Nel XXIII Canto dell’inferno il sommo si addentra nel girone degli ipocriti, ed ivi coglie la tensione tra communitas e immunitas verosimilmente particolarmente avvertita nella società del tempo.

L’immunità era una categoria nota agli studiosi di diritto romano che la definivano in chiave negativa come liberazione o esenzione dagli obblighi collettivi imposti dallo ius comune.
Munus, in latino, sta per obbligo, onere, dovere.
Il privativo in-munus è tacitamente contrapposto alla comunità, ossia a coloro che sono coobbligati da un dovere comune ( cum – munus).
Il Canto inizia con Dante e Virgilio che procedono nel cammino da soli e silenti, come fossero frati francescani. Giungono nel girone degli ipocriti: questi vengono descritti nell’aspetto come dei monaci in quanto, per contrappasso, devono indossare delle pesanti cappe di piombo, dorate all’esterno.
Dante, tra gli ipocriti dannati, interroga due frati, Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andalò, appartenenti all’ordine dei cavalieri della milizia di Maria, nome ufficiale dell’ordine cui appartenevano i frati gaudenti.
Secondo il poeta, le anime dei frati gaudenti erano state relegate nel girone degli ipocriti perché avevano sfruttato la loro immagine di religiosi imparziali per favorire, nei giochi politici fiorentini, il papa Clemente contro i Ghibellini.
L’epiteto frati gaudenti era stato coniato dal popolo per descrivere la condotta anti civica di questi aristocratici frati cavalieri: pur godendo delle esenzioni fiscali e dell’autonomia giurisdizionale non erano tenuti a rinunziare alle proprietà, agli affari o ai legami familiari.
In quanto appartenenti ad un ordine religioso, i frati gaudenti erano particolarmente sensibili ai privilegi che ne derivavano dal loro status di chierici. Nel diritto romano, infatti, i rapporti tra chiesa ed il potere secolare, civile, erano inquadrati tutti in termini di privilegi.
Per i canonisti era importante proteggere le immunità di cui godeva la Chiesa come struttura istituzionale, sia in termini di autonomia giurisdizionale che in termini di esenzione da imposte fiscali. L’assetto legislativo che regolava il regime di privilegio fiscale dei beni ecclesiastici non era in fondo molto dissimile da quello attuale.
Nelle controversie sulle esenzioni del clero, i termini privilegium ed immunitas erano usati quali sinonimi.
L’assetto delle immunità ecclesiastiche non generava tensioni nelle dinamiche generali dei rapporti intercorrenti tra le istituzioni ecclesiastiche e quelle civili.
I governi comunali rispettavano i privilegi ecclesiastici. Il problema si poneva per quei laici che, ipocritamente, tendevano ad usurpare lo status di religioso per ragioni di convenienza.
Catalano e Loderingo che appartenevano ad alcune tra le famiglie più in vista di Bologna, confermano l’ ipocrita propensione a beneficiare delle immunità: interpretano, infatti, l’immunità di Dante di accedere, da vivo, nell’aldilà grazie ad un salvacondotto, come un beneficio personale e non finalizzata a scopi di interesse generale o comuni.
Dante contrappone il proprio privilegio a quelli dei frati gaudenti e denunzia l’iniquità delle “immunitas” quali esenzioni dagli oneri collettivi sottratte da gravami di pari peso.
La dantesca punizione degli ipocriti è uno degli aspetti più significativi del contrappasso su cui vale la pena meditare: la ragione per cui gli ipocriti sono condannati ad indossare pesanti stole di piombo dalle superfici indorate la chiarisce l’etimologia del concetto: ipocrita deriva da iper, sopra, e crisis, oro, come a indicare dorato in superficie. E, dall’esterno, l’ipocrita sembra buono benché all’interno sia malvagio. Questa interpretazione riprende il paragone tracciato da Cristo tra gli ipocriti farisei ed i sepolcri imbiancati: belli all’esterno ma colmi di putrefazione al loro interno.
Il poeta tiene a mettere in evidenza la funzione antisociale delle immunità, e la doppia struttura dei mantelli degli ipocriti evidenzia la tensione intercorrente tra individuo e collettività.
Il processo innescato dalla campagna di immunizzazione vaccinale non è dissimile sul piano degli effetti antisociali che, sotto il profilo ideologico, genera la presunzione di immunità dei vaccinati: costoro, una volta presuntivamente acquisita la condizione di immune dalla malattia, aspirano all’esenzione dagli oneri tributari relativi ai costi delle cure per i non vaccinati. L’effetto è di certo antisociale nel senso che rafforza azioni di governo dichiaramente orientate allo smantellamento dello stato sociale, del welfare state, quale conquista capitale del XX secolo.
La destrutturazione del sistema sanitario nazionale era del resto già stata ampiamente intrapresa, in epoca pre pandemica. Il mantra ultra liberista, una volta assurto ad unica ideologia non esecrabile dal sempre più ristretto circuito dei piazzisti televisivi del pensiero unico dominante, ha sempre perseguito, in nome delle politiche del debito, il pareggio del bilancio ed il taglio della spesa pubblica, a partire da quella sanitaria, come l’obiettivo primario della nazione.
E’ noto che, già prima del Covid, in dieci anni, tra il 2007 e il 2017, il Servizio sanitario nazionale italiano ha registrato una drastica diminuzione delle strutture di ricovero, sia pubbliche (-22%) che private (-11%), la riduzione complessiva di posti letto ospedalieri (-35.797) e un continuo calo degli investimenti da parte dello Stato. Ed era stato facilmente preconizzato che, in caso di eventi catastrofici, il sistema sarebbe entrato immediatamente in crisi.
E dopo due anni di emergenza sanitaria, in alcun modo tali politiche di risparmio di spesa sono state riviste o messe in discussione. Sono state investite risorse nell’acquisto di miliardi di dosi vaccinali, ma il sistema sanitario nazionale non ha beneficiato di stanziamenti emergenziali, e nemmeno è stato potenziato sia in strutture che in organici necessari a fronteggiare sia la domanda ordinaria di assistenza e cure che quella emergenziale o straordinaria.
Il potenziamento del sistema sanitario, per fare fronte al fabbisogno di assistenza sanitaria mediante cure, costituisce un strategia che sottende una concezione comunitaria, solidale dell’intervento statale. Le immunizzazioni sperimentali e di massa, sottendono invece una matrice ideologica ed una visione di governo smaccatamente antisociale.
E’ frutto soltanto del caso che le campagne vaccinali, su scala planetaria, rispondano agli obiettivi che si sono prefissi, da oltre venti anni, i maggiori finanziatori dell’Organizzazione mondiale della Sanità: Gavi Alliance e Bill e Melinda Gates Foundation?
Cosi come pure non viene adeguatamente divulgato che l’alleanza mondiale dei vaccini ( GAVI ALLIANCE) può immettere sui mercati finanziari titoli obbligazionari. Tali titoli sono garantiti dai governi degli stati aderenti, e sono utilizzati per raccogliere risparmio privato ed impiegarlo sia nella produzione dei vaccini che nella realizzazione delle campagne di vaccinazione di massa.
I governi esposti, sul piano della garanzia del debito contratto con i mercati e con Big pharma, tra cui quello italiano, risultano di fatto vincolati nella affermazione di azioni di governo che privilegiano l’immunizzazione piuttosto che politiche solidali volte a sostenere oneri di assistenza e cure efficaci e precoci nella lotta alle malattie. In tal modo vengono progressivamente minate, sul piano della progressiva erosione culturale, quelle visioni di governo di matrice sociale e comunitaria, fondate sulla condivisione solidale di doveri finalizzati al perseguimento degli interessi dei popoli organizzati nelle rispettive comunità di appartenenza e di destino. Si tratta di un processo che mira ad una mutazione antropologica della società, espellendo dalla psicologia dei popoli il principio di cura e soccorso del prossimo ed ogni spirito coesivo fondato su comune storia e identità.
Si tratta di scelte prepolitiche, solo apparentemente fondate su basi scientifiche, finalizzate a invece realizzare il governo della società degli immuni, da cui quel che risulterà di certo debellato sarà il senso di appartenenza comune ed ogni spirito di solidale sacrificio reciproco tra i membri.
Carmine Ippolito