Ad un anno dalla proclamazione della prima pandemia mondiale, deve considerarsi ancora lontano il traguardo dell’immunità dal morbo, ma il conformismo di gregge può considerarsi già saldamente instaurato.
Il solo azzardare interrogativi o accampare aspettative di chiarimenti sulle scelte che i governi impongono in quanto dettate da “autorità scientifiche” ( Cts, Iss, Ema, Aifa, virologi di regime e via dicendo ) viene considerato un sacrilego oltraggio al proclamato dogma dell’infallibilità della scienza. All’osservazione non sfuggono però fenomeni singolari.
E’ scomparsa l’influenza stagionale.
I casi di influenza stagionale, registrati nel 2020, sono letteralmente precipitati del 98%. Ad affermarlo non è una fonte complottista, ma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità.
La circostanza genera ragionevoli perplessità, e non solo dal punto di vista epidemiologico, ma anche su quello dei numeri.
In fondo il perdurare dell’emergenza sanitaria, unitamente alle imposizioni che ne conseguono, non è altro che una questione di numeri e dati: contagi, positivi, sintomatici, asintomatici, ricoverati, terapie intensive, guariti, deceduti.
Quando si fa ricorso a numeri, quali quelli costantemente comunicati sul COVID come presupposto per chiudere attività economiche o limitare l’esercizio di libertà, privando dei mezzi di sussistenza necessari moltitudini di individui, è necessario comprendere bene quali sono le fonti ed i criteri da cui promanano quei numeri e, soprattutto quale complessivo quadro sanitario dagli stessi è effettivamente deducibile.
La sparizione delle patologie da raffreddamento stagionale è certamente un fenomeno peculiare, sotto il profilo dei precedenti storici, scientifici o statistici, ed è stato reso noto dalla stessa portavoce dell’OMS durante un briefing con la stampa evidenziando che “letteralmente non c’era quasi nessuna influenza nell’emisfero meridionale” del pianeta Terra nel 2020, senza dare ulteriori spiegazioni.
Per comprendere se veramente finirà mai il proclamato stato di emergenza sanitaria non è superfluo individuare chi ne sta traendo smisurati profitti dal suo perdurare. Sarebbe opportuno sapere quanto la UE, ad esempio, ha fino ad ora speso per i vaccini? Quanto è costata agli stati il finanziamento della ricerca e quanto l’acquisto delle successive dosi? Sarebbe utile apprendere anche quali sono, sullo specifico capitolo, le previsioni di spesa nel bilancio UE, ossia quanto ancora gli stati membri dovranno sborsare per assicurarsi un numero di fiale sufficiente a coprire il fabbisogno minimo ad immunizzare la popolazione residente sul proprio territorio. Non si comprende la ragione per cui tali “numeri” non vengono resi noti e perché il prezzo di ciascuna singola dose è mantenuto segreto e non divulgato a beneficio dell’opinione pubblica? Analogamente resta un mistero il meccanismo di produzione del vaccino a RNA ricombinante e vige il segreto sulle sostanze da cui il siero è ricavato?
Tale ultima questione non è secondaria al punto che sul tema è intervenuta la Santa Sede che, in qualche modo, ha appreso che, nella sperimentazione o nella produzione del vaccino potrebbe essere stato fatto uso di feti abortiti.
Vero è che, sul punto, sono intervenute sia la congregazione per la dottrina della fede sia l’accademia pontificia. Con rispettive note, gli organi del vaticano sembrano considerare moralmente lecita l’assunzione di un vaccino nelle cui produzione sia state utilizzate linee cellulari di feti abortiti. Gli istituti della Santa sede affermano però che un fedele non possa considerarsi moralmente obbligato ad assumere un vaccino in tal modo ottenuto.
“Il segreto industriale ha la sua legittimità in tempi normali”, ha dichiarato Bernard Bégaud, docente di Farmacologia all’Università di Bordeaux. “Ma quando si tratta di salute pubblica, e per di più una crisi sanitaria di questa portata, la trasparenza non dovrebbe essere essenziale nell’interesse stesso del successo della campagna di vaccinazione? La mancanza di trasparenza non aumenta forse le resistenze a farsi vaccinare degli scettici e dei dubbiosi?.
Si noti come l’emergenza è stata evocata per l’intera durata del 2020 quale presupposto legittimante la perdurante limitazione di libertà costituzionali alle persone comuni – dalla libertà di circolazione al diritto di scelta sanitaria, dalla censura sulle informazioni alla negazione per i medici “negazionisti” del diritto a manifestare il loro pensiero sui farmaci e le terapie antivirali giudicate efficaci per fermare il contagio. L’emergenza non vale per big pharma. Resta intatto, infatti, il diritto al segreto industriale per le multinazionali del farmaco.
Segui il denaro e troverai il colpevole, insegnava Giovanni Falcone.
Da questa prospettiva di analisi sono individuabili potentati che muovono da interessi contrari alla fine dell’emergenza Covid. E’ indubitabile che la produzione dello stato Cinese, i colossi farmaceutici ed i filantropi del web e dell’informatica ( Bezos, Zuckebenrg, Gates etc) dal diffondersi del virus, e soprattutto dalle restrizioni conseguite all’enfatizzazione dell’emergenza sanitaria, hanno ricavato l’istantanea decuplicazione dei propri fatturati, e la previsione di una inarrestabile previsione di crescita degli introiti per gli anni a venire. Sempre grazie all’infinito perdurare dell’emergenza la Fiat ha ricevuto finanziamenti dal Governo per sei miliardi e mezzo di euro. Gli stabilimenti italiani sono stati riconvertiti alla produzione di 27 milioni di mascherine chirurgiche al giorno. E grazie alla produzione di mascherine Fiat non si procede al licenziamento dei lavoratori. E questi pure sono numeri.
L’emergenza, da molti, è stata impropriamente assimilata ad uno stato di guerra. L’assimilazione contiene una clamorosa forzatura della realtà. Certo è però la pandemia, come la guerra, reca con sé non solo danni ma anche incommensurabili opportunità di arricchimento. L’emergenza ha di certo un punto in comune con la guerra: per taluni settori economici funge da ineguagliabile propulsore di affari. Sovviene il magistrale lavoro cinematografico di Sordi “Finchè c’è guerra c’è speranza”. Alberto Sordi magistralmente interpretava un facoltoso mercante d’armi, Pietro Chiocca, Quando fu investito dalla disapprovazione dei suoi familiari, il mercante si disse disponibile a cessare il turpe commercio, non mancando di evidenziare che, per i congiunti, ne sarebbe conseguito il forzoso ridimensionamento delle agiatezze. Sappiamo come andò a finire. La servitù fu mandata a dolcemente risvegliare il protagonista, anche in anticipo sull’orario di partenza. Il Covid non è una pestilenza e neppure una guerra, ma sono bene individuabili coloro che dall’emergenza, come dalla guerra, stanno traendo smisurati vantaggi. Valga allora la parafrasi: finché c’è emergenza, per costoro, c’è speranza.
Carmine Ippolito