Con un ordinanza dell’Enac, ente per l’aviazione civile, l’aeroporto di Milano Malpensa è stato intitolato a Silvio Berlusconi, compianto leader del centro destra italiano. La decisione ha incontrato l’immediato sostegno del Governo attraverso la immediata presa di posizione favorevole del Ministro dei trasporti Salvini. Si tratta di onorificenza dal notevole valore simbolico. L’intitolazione di un aeroporto è un atto dotato di indubbia funzione memorialistica: l’onorificenza viene riservata a statisti, eroi nazionali, martiri, figure fondative: a Charles del Gaulle, fondatore della V Repubblica francese, è intitolato l’aeroporto di Parigi, a John Fitzgerald Kennedy quello di New York, a Giovanni Falcone l’aeroporto di Palermo. Quella di Silvio Berlusconi fu di certo una figura controversa: era prevedibile che l’intitolazione al fondatore di Forza Italia dello scalo di Malpensa generasse, soprattutto a sinistra, veementi polemiche. La legge che regolamenta l’intitolazione delle strade, o di altri luoghi pubblici, forse neppure consentiva di conferire tale riconoscimento al Cavaliere, non essendo ancora decorsi dieci anni dalla sua scomparsa. Al di là di ogni rilievo di natura strettamente legalistico formale, in effetti la scelta dell’onorificenza riservata al Cavaliere si rivela inappropriata anche nel merito della decisione. Meglio avrebbe esaltato la figura del fondatore di Canale 5 diversa onorificenza: più conforme alla storia peculiare dell’uomo e del politico doveva apprezzarsi l’intitolazione di altra struttura. Previa abrogazione solenne della legge Merlin, quella che ha infaustamente bandito le case di tolleranza, a Berlusconi sarebbe risultato più corretto intitolare un pio istituto di accoglienza e di riposo, per esempio, per le tutte le vestali di alto bordo, infelicemente denominate a suo tempo olgettine, che numerose si succedettero nell’amorevole cura della suo benessere psicofisico ed al fervente culto della sua vulcanica personalità. Il Cavaliere che, tra i tanti pregi, era oltretutto uomo di grande spirito, avrebbe molto apprezzato tale comunque ragguardevole riconoscimento, consapevole di averlo a pieno titolo meritato avendo costantemente riservato al gentil sesso, attenzioni privilegiate elevandone, in pompa magna, non poche alle più alte cariche repubblicane.

Le polemiche, sull’aeroporto Berlusconi, non destano perplessità tanto nel merito quanto piuttosto nella matrice, perché promananti da esponenti delle formazioni della sinistra Italiana che, sotto il profilo della legittimazione etica, dovrebbero imporsi di tacere.
La sinistra italiana vanta, nelle proprie fila, figure presentabili, idonee ad assurgere alla contestata onorificenza?
Pensano magari a Fassino cui, un lontano giorno, sarà d’obbligo intitolare quantomeno il duty free dell’aeroporto di Fiumicino considerato che l’ex comunista, deputato PD, già segretario del PD PDS, ha dato negli aeroporti italiani recenti e mirabili prove di furtiva destrezza. O magari pensano di intitolare aeroporti ai compagni che ricevevano o prelevavano, oltre che l’oro da mosca, anche le tangenti dalla lega delle cooperative in affari con la camorra. Uno scalo aeroportuale, andrebbe riservato al ricordo di Giorgio Napolitano, ex presidente della Repubblica, evitando di opportunamente menzionare che, l’ex Presidente della Repubblica, durante l’VIII congresso del partito comunista, che si tenne nel dicembre del 1956, non mancò di elogiare l’invasione dei carri armati sovietici in Ungheria, sposando in pieno la linea dettata da Palmiro Togliatti, allora segretario del partito comunista italiano. Per restare sempre a sinistra, un giorno ci saranno aeroporti da intitolare alla straordinaria figura del senatore semplice, già segretario rottamatore del PD, Matteo Renzi, oggi segretario di Italia Viva. Pur facendosi eleggere senatore della Repubblica Italiana, Renzi non fa mistero di ricevere emolumenti cospicui, quale consulente di altri stati, trovando la cosa più naturale del mondo giurare fedeltà alla Repubblica Italiana ed incassare migliaia di Euro da organismi che fanno capo, per esempio, alla dinastia saudita, che governa uno stato fondamentalista, che non rispetta diritti umani e che non appartiene ai sistemi di alleanze cui partecipa lo stato italiano.

Lo scalo di grazzanise o di Capodichino, in Campania, andrebbe opportunamente intitolato agli esponenti del Pd campano che, di recente, sono stati colti, nelle indagini sulle tangenti per il Rione terra di Pozzuoli, con un bel po’ di bigliettoni fruscianti in borsa. Denaro di cui è rimasta improbabile o non meglio specificata la provenienza. La lista è lunga. Difficile a dirsi se l’imbarazzo è nella scelta o la scelta nell’imbarazzo: ai diversi protagonisti del Qatar Gate un aeroporto pure andrebbe intitolato. Già deputati al parlamento europeo, hanno ricevuto fino a 17.000 euro al mese, al nero ed in contanti, dal governo marocchino o qatariota per favorirne gli interessi, soprattutto in materia di sfruttamento della manodopera di tali paesi. ( cumpagn, cumpagn tu fatic ed io magn) Un aeroporto potrà essere intitolato, per meriti altamente umanitari alla famiglia soumahoro ( deputato Pd), a Lucano già sindaco di Riace ed oggi eletto al parlamento Europeo, A Buzzi ed tutti coloro che, a sinistra, con la gestione degli immigrati hanno fatto soldi e fortuna, come “con la droga mai sarebbero riusciti”. Un aeroporto di certo dovrà essere intitolato ad Ilaria Salis visto che, non avendo di meglio da eleggere, il popolo di sinistra ha mandato al Parlamento europeo per essere assurta agli onori delle cronache per la commissione di atti di squadrismo e violenza politica ed altri reati comuni. I restanti aeroporti minori, magari quelli prossimi all’aeroporto Malpensa Silvio berlusconi, andrebbero di diritto intitolati a magistrati che, come Davigo, al “Caimano” non mancarono mai di dedicare tante premurose attenzioni. Un aeroporto andrebbe intitolato di certo a ciascuno di quegli appartenenti all’ordine giudiziario che sono passati alla storia come “palamara boys”. Costoro meritano tale altissima onorificenza per avere contribuito a mantenere in vita un sistema giudiziario fondato sulla simoniaca compravendita degli incarichi direttivi degli uffici giudiziari. Il CSM li ha mandato tutti prosciolti, sotto il profilo disciplinare, facendo leva sulle provvidenziali conclusioni di una sentenza della Corte Costituzionale che dava ragione al Senato, nel conflitto con la Procura di Firenze, in un procedimento a carico del senatore Renzi. Il CSM, grazie a tale sentenza che riconosceva i messaggi wapp inviolabili senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ha ritenuto inutilizzabili i contenuto delle chat dei magistrati . Tutto affinché si preservasse autonomia, indipendenza ed imparzialità della magistratura. L’aeroporto di Palermo, oggi intitolato a Giovanni Falcone, andrebbe opportunamente intitolato invece a Pietro Giammanco, capo della Procura Palermitana quando si verificarono le stragi di Capaci e via D’Amelio. Giammanco aveva sempre osteggiato le indagini mafia appalti di condotte da Falcone, dal generale Mori e dal colonnello de donno. Giammanco la mattina dell’attentato di via d’Amelio telefono’ a Borsellino* per comunicargli che aveva deciso di affidargli coordinamento delle indagini su mafia e appalti. Quel 19 Luglio era una domenica mattina. Ciononostante Giammanco non mancò di avvertire la necessità di telefonare il collega per comunicargli che aveva assunto tale tormentata decisione. Sentiva, Giammanco, indifferibile tale incombenza, tale che non avrebbe consentiva di attendere che il lunedì per questa comunicazione di servizio. Peccato però che Giammanco tacque a Borsellino di avere firmato 4 giorni prima la richiesta di archiviazione. La sera del 19 luglio sappiano tutti come è andata a finire e cosa accadde a via D’Amelio. . Non tutti sappiamo, anzi non tutti vogliamo sapere, che il 14 agosto, quando al tribunale di Palermo non trovi neppure l’usciere che ti porti le chiavi del cesso per pisciare, un gip firmò l’archiviazione di quell’indagine Mafia Appalti. A tutti questi santi laici, assistiti dalla prerogativa di superiorità etica ancora vantata dalla sinistra, glielo vogliamo intitolare un santuario, un pantheon, piuttosto che un aeroporto. O no?
*https://progettosanfrancesco.it/2024/07/20/latto-daccusa-di-manfredi-borsellino-quella-strana-telefonata-di-giammanco-e-nellinchiesta-mafia-e-appalti-spunta-un-nuovo-documento/
Carmine Ippolito
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Aspettando il museo
di Franco Russo cultura, poesia e canto quali strumenti di rigenerazione civile di un territorio scomodo L’immagine di una Napoli che, per anni ha affidato, alla Camorra il culto dei suoi morti, è quella che oggi ignobilmente, primeggia sulla stampa e nelle immagini televisive. Questa immagine è l’emblema dello stato di degrado assoluto in cui…
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Aspettando il museo
di Franco Russo cultura, poesia e canto quali strumenti di rigenerazione civile di un territorio scomodo L’immagine di una Napoli che, per anni ha affidato, alla Camorra il culto dei suoi morti, è quella che oggi ignobilmente, primeggia sulla stampa e nelle immagini televisive. Questa immagine è l’emblema dello stato di degrado assoluto in cui…
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Se questa è scienza
il ciarlatano e le sue miracolose pozioni Breve riassunto delle puntate precedenti: l’agenzia del farmaco italiana ( AIFA) ha autorizzato il mix vaccinale affermando l’elevata sicurezza della vaccinazione eterologa. A tali conclusioni l’ente di controllo è pervenuto senza evidenze sperimentali solide circa i rischi ed i benefici del singolare frullato farmacologico adesso prescritto dal governo…
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Scienza, razionalità e magia
L’indistinguibile linea di confine su cui fondano le scelte della politica sanitaria in tempi di Covid Mentre cala il numero dei decessi, dei ricoveri e dei contagi, con l’avanzare della campagna vaccinale aumenta il numero delle vittime degli effetti avversi dei farmaci genici somministrati come vaccini. Dopo avere dapprima autorizzato, dietro parere favorevole del CTS…
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Aspettando il museo
di Franco Russo cultura, poesia e canto quali strumenti di rigenerazione civile di un territorio scomodo L’immagine di una Napoli che, per anni ha affidato, alla Camorra il culto dei suoi morti, è quella che oggi ignobilmente, primeggia sulla stampa e nelle immagini televisive. Questa immagine è l’emblema dello stato di degrado assoluto in cui…
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Se questa è scienza
il ciarlatano e le sue miracolose pozioni Breve riassunto delle puntate precedenti: l’agenzia del farmaco italiana ( AIFA) ha autorizzato il mix vaccinale affermando l’elevata sicurezza della vaccinazione eterologa. A tali conclusioni l’ente di controllo è pervenuto senza evidenze sperimentali solide circa i rischi ed i benefici del singolare frullato farmacologico adesso prescritto dal governo…
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Scienza, razionalità e magia
L’indistinguibile linea di confine su cui fondano le scelte della politica sanitaria in tempi di Covid Mentre cala il numero dei decessi, dei ricoveri e dei contagi, con l’avanzare della campagna vaccinale aumenta il numero delle vittime degli effetti avversi dei farmaci genici somministrati come vaccini. Dopo avere dapprima autorizzato, dietro parere favorevole del CTS…
- Sottomissione digitale e vulnerabilità politica


Karim Ahmad khan Il processo di transizione digitale ha un costo elevato. La
digitalizzazione implica, infatti, che il funzionamento degli stati,
ed il conseguente esercizio dei diritti, avvenga mediante il necessario ricorso all’uso di
dispositivi e canali telematici.L’ accelerazione impressa al processo di informatizzazione,
avvenuta in uno stato di euforia collettiva, ha impedito
finora di metterne a fuoco le ricadute negative sulla vita delle democrazie e sull’esercizio delle libertà fondamentali.Non si è prestata la necessaria attenzione agli effetti derivanti
dalla concentrazione dei servizi cloud infrastrutturali presso un
ristrettissimo numero di piattaforme statunitensi ( Amazon, Microsoft e
google).La zelante adesione ai piani di transizione digitale è avvenuta senza
adeguatamente considerare la sostanziale incapacità delle istituzioni democratiche di controllare, gestire e proteggere, con la continuità necessaria, le
proprie risorse digitali, intese come dati, infrastrutture,
tecnologie e servizi, per gli Stati che non dispongono di autonome piattaforme.Nei primi mesi del 2025, si è verificato un episodio, passato quasi sotto silenzio, che illustra con
chiarezza come la dipendenza europea dalle piattaforme digitali
statunitensi possa trasformarsi in vulnerabilità geopolitica.A metà Febbraio Microsoft ha disattivato l’account di posta
istituzionale del procuratore capo della Corte penale internazionale,
Karim Ahmad Khan, privando la CPI di una canale di comunicazione
fondamentale.La disattivazione è stata disposta in esecuzione dell’Ordine Esecutivo
14203 “Imposing Sanctions on the International Criminal Court”,
firmato il 6 febbraio 2025 dalla Casa Bianca.L’atto presidenziale con il quale, dalla studio ovale, è stato
disattivato, d’imperio, l’account della Corte dell’Aia, è stato emesso
sulla base dell’ International Emergency Economic Powers Act. È stata
così unilateralmente irrogata, in relazione ai procedimenti in corso per crimini di
guerra relativi alle indagini sul genocidio in corso a Gaza, una
sanzione nei confronti del procuratore della CPI dagli effetti
mutilanti ed immediatamente esecutivi.La disattivazione immediata si è resa possibile stante la
concentrazione in mano statunitense delle infrastrutture digitali cui
è necessario fare ricorso, su scala globale, per informatizzare ogni
anfratto della vita civile e dell’esistenza personale e collettiva.Non desta meraviglia che la vicenda, sebbene gravissima, non ha ricevuto dalla stampa il
risalto che avrebbe meritato, e neppure ha destato discussioni o polemiche.Eppure si trattava di questione gravissima, implicando l’interruzione, arbitrariamente decisa dall’ amministrazione americana,
del servizio di un ufficio giudiziario sovranazionale che è stato, con
un click, privato temporaneamente di un canale di comunicazione essenziale.
La disattivazione dell’ account della Corte competente a giudicare sui crimini di guerra , ha rappresentato un eloquente messaggio trasversale a governi e imprese di ogni continente affinché risultasse universalmente chiaro che
provvedimento amministrativo statunitense può istantaneamente minare la tenuta dello Stato
di diritto interno e internazionale.Occorre allora riconoscere che siamo precipitati nella illuminata era della sottomissione digitale, dove l’Europa versa in
una condizione tecnologica di assoluta irrilevanza.In sostanza, affidando il funzionamento di istituzioni e servizi alle
infrastrutture digitali statunitensi , l’Europa si è stretta da sola la corda al
collo. Non ci sono, allo stato, alternative . Allorquando Amazon, Microsoft,
Google, anche per ordine esecutivo della Casa bianca, decidessero di
staccare la spina ( per ragioni politiche, economiche, strategiche o
anche solo di business) ci ritroveremmo con server spenti, dati
bloccati e apparati, servizi e istituzioni paralizzati.E dire che il continente paga già ogni anno un salatissimo pedaggio di
250 miliardi di euro per usare le autostrade digitali di Amazon,
Google e microsoft. Ed i prezzi dei servizi cloud, come
ciascuno può constatare, aumentano vertiginosamente ogni anno,
generando un fenomeno già noto come techflazione. E non è possibile non
pagare quanto ogni anno ci viene estorto, in termini di aumenti sulle
tariffe sui servizi digitali, derivandone, in caso contrario, il
mancato esercizio dei diritti e delle attività fondamentali che oggi
presuppongono l’obbligatorio impiego delle piattaforme digitali.L’unica alternativa sarebbe quella di affidarsi alle piattaforme
cinesi, cadendo così dalla padella alla brace, viste le prevedibili pesanti
ricadute,in termini di censura, che ne conseguirebbero all’istante.L’Europa si illude di risolvere la questione sempre mediante la
scrittura di regole, perché nella produzione legislativa siamo
maestri. Peccato che senza mettere mano ai giganteschi investimenti necessari a
realizzare server, chip, cavi sottomarini e data center autonomi,
ogni soluzione per uscire dalla condizione di sudditanza tecnologica è del tutto illusoria.Microsoft ha celebrato i 4 mila miliardi di capitalizzazione, mentre
l’Ue ha previsto nella bozza di bilancio 2028 – 2032 la costituzione
di un fondo di 50 miliardi per l’innovazione.
Avendo intrapreso, a tappe forzate, il processo di digitalizzazione
della vita civile, l’Europa deve riconoscere che la sfida di sistema
si gioca sul piano della capacità di archiviare, conservare e
processare i dati che fanno funzionare ospedali, uffici, questure,
impianti, caserme, aziende, insomma interi stati. E’ urgente sottrarsi
allo strangolamento di una moderna forma di colonizzazione
algoritmica, pericolosa perché tanto letale, quanto seducente e
silenziosa.Carmine Ippolito
- Al Masri, commedia, tragedia e comiche finali.

Nuovo capitolo della vicenda Al Masri, il militare libico accusato di
torture e crimini contro l’umanità, arrestato, su mandato della Corte
penale internazionale, poi espulso e riaccompagnato in Patria con volo
di stato italiano. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esce
dal caso in quanto il Tribunale dei ministri ha deciso di archiviarne
la posizione. Mentre nei confronti dei ministri dell’Interno e della
Giustizia, Matteo Piantadosi e Carlo Nordio, e del sottosegretario
alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, si ritiene
praticabile una ragionevole previsione di condanna per i reati di
peculato e favoreggiamento e viene avanzata richiesta di rinvio a
giudizio e di autorizzazione a procedere.La decisione del Tribunale dei ministri è stata preceduta di qualche
giorno dai contenuti di un’eloquente intervista, rilasciata al
quotidiano la Repubblica, dal dott. Raffaele Piccirillo, sostituto
procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed erudito
giurista. L’intervista ha di certo inconsapevolmente anticipato gli
esiti dell’istruttoria sul caso, ma le argomentazioni in essa
articolate, in quanto speculari alle valutazioni cui è successivamente
pervenuto il Tribunale dei Ministri circa la responsabilità degli
uomini di governo indagati, ne rende l’analisi dei contenuti
particolarmente stimolante.Piccirillo, già capo di gabinetto al ministero della Giustizia
allorquando occupava il dicastero l’eminente avvocato grillino
Bonafede, al secolo Fefè o Dj – nel corso dell’intervista ha
motivatamente sentenziato che non vi fosse alcuna ragione giuridica
per non convalidare l’arresto di Al Masri, e per non consegnare il
generale libico alla Corte penale internazionale.Con assoluta chiarezza espositiva, l’ex capo di gabinetto del Ministro
a cinque stelle, ha chiarito che le disposizioni contemplate dalla
normativa che regola l’esecuzione dei mandati di arresto della Corte
penale internazionale, risultavano essere state negligentemente
disattese, dai soggetti istituzionalmente chiamati ad adottare,
ciascuno per quanto di rispettiva competenza, i provvedimenti del
caso.Era prevedibile immaginare che il punto di vista critico, promanando
da fonte qualificata e autorevole, sarebbe risultato politicamente
significativo in quanto, per farla breve, espressione di una visione
politica e di un pensiero giuridico alternativo rispetto a quello che
aveva ispirato le scelte degli uomini di governo intervenuti ad
affrontare la questione nella peculiare contingenza operativa derivata
dall’arresto di l Masri. Le affermazioni del dottor Piccirillo
rendono plausibile, quindi, ipotizzare che, nel caso in cui, all’atto
dell’arresto del presunto torturatore libico, vi fosse stata al
governo una coalizione a 5 stelle, costui giammai sarebbe stato
espulso e rimpatriato in Libia. Al contrario, stando alla lucida
valutazione dell’ex capo di gabinetto dell’indimenticato ministro
grillino, con indefessa solerzia ed intransigente osservanza delle
norme, Al Masri sarebbe stato consegnato agli organi della Corte
penale internazionale in esecuzione del mandato di arresto.Al di là di ogni fisiologica contrapposizione strumentalmente polemica
tra contrapposti schieramenti politici, il caso sottende una
questione che travalica i termini della corretta applicazione
procedurale, vertendo sul massimo problema intorno a cui ha ruotato
la contemporanea speculazione politica occidentale.In taluni casi, la decisione di un governo si misura, purtroppo, con
l’innegabile difficoltà di conciliare la teoria giuridica dello stato
con la comprensione scientifica della politica. E tale significativo
aspetto, nella critica valutazione dell’ex capo di gabinetto del
ministro grillino – come nelle assimilabili determinazioni del
Tribunale dei Ministri sull’operato degli uomini di governo
intervenuti – viene troppo disinvoltamente tralasciato.Allorquando le ragioni del diritto e quelle degli interessi tutelati
dallo stato collidono – e’ questo il quesito di fondo- il decisore,
ossia colui che è chiamato ad assumere la decisione politica sovrana,
è tenuto ad affermare il primato della nuda norma o a tutelare la
sicurezza interna ed esterna dello stato?Lo stato moderno, a differenza di qualsivoglia altro soggetto di
diritto, ha due anime, essendo una manifestazione della politicità e,
contemporaneamente, un ordinamento giuridico che si articola anche sul
piano sovranazionale.Vero è che gli stati che hanno aderito al trattato istitutivo della
Corte penale internazionale hanno ceduto parte della propria sovranità
giurisdizionale a quest’organo sovranazionale cui è stata
riconosciuta, con il trattato di Roma, competenza funzionale a
trattare genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità.Ciononostante, le decisioni adottate, nel caso al Masri, dal governo e
dai magistrati della Corte di appello di Roma, non collidono con la
teoria giuridica dello stato trattandosi delle uniche determinazioni
che politicamente potevano essere assunte in una condizione
assimilabile al cosiddetto stato di eccezione.Quello dello stato di eccezione è un concetto universalmente
riconosciuto dalla teoria generale del diritto. Si tratta di concetto
limite, ma nient’affatto confuso, di cui è agevole richiamare esempi,
anche della storia recente del nostro paese, che legittimano la
compatibilità con l’ordinamento e la teoria giuridica dello stato di
decisioni assunte su accadimenti del tutto imprevedibili nella
produzione normativa del legislatore . Basti ricordare l’arresto di
Mussolini, disposto il 25 Luglio 1943 dal Re, la sospensione della
scarcerazione di Priebke conseguente ad una sentenza dichiarativa
della prescrizione, disposta dal ministro della giustizia, ossia da
un soggetto privo di competenze funzionali ad emettere atti privativi
della libertà personale.La decisione adottata sul caso Al Masri costituisce un atto di stato
anomalo, e se vogliamo ripugnante, avendo determinato l’espulsione di
un comandante libico accusato dei peggiori delitti commessi nella sua
patria. E’ errato ritenere, però, come si pretende fare, sulla base di
una visione giuridica connotata da un normativismo di matrice
assolutizzante, che tale difficile decisione possa apprezzarsi
illegittima, delittuosa o criminale.
Nel caso di specie giammai i decisori politici risultano avere
determinato uno sviamento delle funzioni istituzionali loro
attribuite. Ricorreva, infatti, quella oggettiva condizione di
necessità qualificabile, sul piano della teoria generale dello stato,
come stato di eccezione: certo è che dalla consegna di Al Masri alla
Corte dell’Aia ne sarebbe derivata la concreta esposizione a pericolo
della sicurezza interna ed esterna dello stato, ossia di cittadini ed
imprese strategiche nazionali, operanti nella regione libica. Il
governo ha agito pertanto in una condizione nella quale alla nuda
norma non poteva essere riconosciuto un formalistico primato, e le
prerogative sovrane dello stato repubblicano dovevano ritrovare
prevalenza e massima espansione .Nessuno può affermare che la Libia è, dallo spodestamento di Gheddafi,
uno stato normale. Forse non è più nemmeno uno stato. Non è di certo
uno stato di diritto. La Libia è uno stato anomico, ove non esiste un
unico governo, dove molte tribù e fazioni armate si contendono, con
ogni mezzo, il controllo militare del territorio e delle risorse. E
dove la certezza della legge non esiste. Se fosse stata data
formalisticamente esecuzione, da governo e corte di appello, al
mandato di arresto di Al Masri, di certo cittadini, imprese ed
interessi italiani sarebbero risultati automaticamente esposti un
ampio fronte di aperta belligeranza. E’ possibile, invece, concludere
che se, al governo, allorquando è stato arrestato il generale libico,
avessimo avuto un governo a guida grillina, il primato della norma
sarebbe stato fatto salvo, ma la sicurezza dello stato repubblicano
sarebbe stata in pericolo. E’ difficile riconoscere a quale
genere rappresentativo ( commedia o tragedia?) la tormentata trama
della vicenda al Masri meglio si presta ad essere iscritta. Di
certo, siamo ancora molto lontani dall’epilogo e, quindi, dalle
comiche finali.Carmine Ippolito
https://youtu.be/GpodwSSx-5o?si=kv1vJVXUY7FVIxsJhttps://youtu.be/GpodwSSx-5o?si=kv1vJVXUY7FVIxsJ
- Elogio dei dazi

La guerra commerciale su scala mondiale è esplosa. Meglio tardi che
mai. Era ora che nell’emisfero occidentale, progressivamente
deindustrializzato, quello delle cosiddette democrazie liberali,
qualcuno si decidesse a rompere gli indugi. Bene, nell’interesse di tutti,
che lo abbia fatto l’amministrazione americana. Senza esitare, a
poche settimane dall’insediamento, la strana coppia, Trump – Vance, ha
introdotto un regime tariffario sulle importazioni volto ad arginare il
deficit della bilancia commerciale e, soprattutto, idoneo a
determinare la ripresa del processo di reindustrializzazione del
paese. Vero è che, negli ultimi trent’anni, il vitalismo economico dei
paesi ad alto reddito, in ragione del gigantesco processo di
delocalizzazione della produzione industriale, si è andato
progressivamente spegnendo. E’ da quando la Cina è diventata membro
dell’organizzazione mondiale del commercio che gli indici di
produzione industriale consacrano, nelle nazioni occidentali, il
crollo e la progressiva erosione del comparto manifatturiero. Ne sono
derivate costanti ricadute negative sul piano dell’occupazione, della
domanda interna e della produzione di ricchezza per le nazioni che
paradossalmente si autodefinivano come paesi maggiormente
industrializzati. Le misure di natura protezionistica, energicamente
introdotte dall’amministrazione Trump, prima di ogni altra cosa,
determinano, invece, ricadute generalizzate sui mercati finanziari
perché idonee a stravolgere l’ordine globale e macroeconomico
affermatosi a partire dalla stipula del trattato istitutivo
dell’Organizzazione mondiale del commercio, firmato a Marrakech il
15.04.1994 e, successivamente, consolidatosi con l’ingresso della Cina
nel WTO l’ 11 dicembre 2001.
I fenomeni di ritorno che si sono innescati, per effetto
dell’assimilazione nel medesimo ordine economico
internazionale delineato dal WTO, di democrazie mature e liberali e
sistemi totalitari, autocratici e non socialmente progrediti, erano
prevedibili. E da tanti, come chi vi scrive, erano stati preconizzati. Eccone una
sintetica selezione: 1) si era detto: “ l’occidente esporterà
ricchezza ed importerà poverta”. Ed è accaduto!; 2) si era aggiunto
che “i salari occidentali” sarebbero entrati, al ribasso, in
concorrenza con i “
salari orientali” senza che gli operai orientali debbano immigrare e
venire a lavorare nelle nostre fabbriche. Ed è accaduto che i capitali
occidentali si sono trasferiti laddove i salari erano più bassi,
direttamente o indirettamente finanziando le fabbriche orientali. La
convenienza ad investire dove la manodopera costa di meno ha
innescato, tra i proletari di tutto il mondo, la concorrenza
salariale al ribasso; 3) i salari occidentali si sono livellati
al ribasso, appiattendosi sui salari orientali, nel mentre il costo
della vita, come previsto,. è rimasto saldamente attestato agli alti standard
occidentali di talché lo “spettro della povertà” si è progressivamente
diffuso e materializzato nell’Occidente della decrescita infelice; 4)
gli stati occidentali, come membri degli organismi sovranazionali, ed
in particolare dell’ Unione europea e dell’Organizzazione mondiale del
commercio, fondate sul dogmatico pilastro del libero scambio,
hanno supinamente assistito alla contestuale demolizione del
proprio sistema di produzione e dello stato sociale;Ed ora che il fantasma della povertà in occidente si è
materializzato comincia a fare paura non solo nelle famiglie e nelle
periferie che votano AFD in Germania, Georgescu in Romania e i
lepenisti in Francia, ma soprattutto alla grande finanza speculativa
ed alle elite della robotica e della tecnologia digitale.
Risponde, invece, a logiche di senso comune e si prefigge scopi di
salvaguardia la tanto vituperata introduzione dei dazi: sono barriere
artificiali
che possono applicarsi per limitare flussi commerciali provenienti da
altri territori. Sono misure di protezione e costituiscono una
concreta opportunità di ripresa della produzione agricola e
industriale se le tariffe doganali vengono praticate per arginare
importazioni di beni o prodotti provenienti da paesi che
commercializzano prodotti sottocosto, sfruttando in forma disumana la
manodopera, violando le regole di sanità o sicurezza dei beni nei
cicli di produzione, oppure sfruttando
asimmetriche economie di scala. I dazi alle importazioni di beni
provenienti dai paesi dove la manodopera lavora in condizioni di
sfruttamento, favoriscono il rispetto della dignità del lavoro perché
incentivano le assunzioni e l’innalzamento dei livelli salariali,
imponendo alle multinazionali di avviare stabilimenti produttivi
direttamente nei paesi in cui intendono commercializzare i loro
prodotti. La guerra commerciale dei dazi e’ una guerra giusta. E’
sbagliato il nemico: piuttosto che con gli stati uniti, andrebbe
ingaggiata con le tigri asiatiche: con la Cina di Xi jimping, con il
vietnam di Pham Minh Chin o l’India di Modi.Carmine Ippolito
- ABOLIRE LE SOPRINTENDENZE

L’iniziativa della lega, in materia di soprintendenze, non è condivisibile perche’ viziata per difetto, e non per eccesso. Le soprintendenze non vanno solo depotenziate o esautorate di
prerogative, come chiede la Lega, ma del tutto cancellate
dall’ordinamento, ossia immediatamente soppresse, con un ordine
esecutivo, alla Trump per intenderci! Sulla carta dovrebbero essere
articolazioni periferiche del ministero della cultura, concepite per
rendere performante l’azione del dicastero nell’opera di tutela dello
sterminato patrimonio artistico e architettonico di cui è costellato
il territorio dell’intera penisola italica. Furono a tale scopo
istituite nel XIX secolo, e la prima normativa in materia fu la legge
Rosadi del 1909 che disciplinava i meccanismi di tutela statale sui
beni culturali, paesaggistici, storici e monumentali. Tale normativa è
stata rafforzata nel 2004 dal codice dei beni culturali e del
paesaggio. L’obiettivo era quello di creare un apparato che fungesse
da efficiente presidio nella conservazioni di luoghi, paesaggi e opere
di pregio storico, artistico o culturale. Di fatto si sono
trasformati in soporiferi centri di potere, dorati ipogei
istituzionali cui è affidato un potere immenso che gestiscono
determinando la paralisi di fatto delle istituzioni preposte alla
conservazione dei beni paesaggistici e dei complessi monumentali.
L’emendamento del deputato della lega, Gianangelo Bof, è stato poi
addirittura ritirato avendo verosimilmente destato sconcerto, nelle
stesse file della maggioranza, l’idea che i pareri di questi chierici,
in materia di interventi urbanistici e paesaggistici, allorquando la
modifica fosse stata approvata, non sarebbero stati più vincolanti.
L’obiettivo del deputato leghista mirava evidentemente a
sburocratizzare e velocizzare interventi edilizi o di restauro la cui
realizzazione – allorquando obbligata a passare per le forche caudine
delle soprintendenze – affonda nelle “sabbie immobili” di prassi che
ne paralizzano la realizzazione, consegnandola a tempi biblici di
elaborazione, studio e ultimazione. Orbene, a dispetto delle sacre
vestali dell’ambientalismo italico, che le considerano imprescindibili
baluardi della tutela del nostro patrimonio storico e artistico, le
soprintendenze vanno abolite. E’ bene chiarire che questi apparati di
burosauri contemplativi esistono solo in Italia: negli altri paesi la
tutela del patrimonio è affidata a commissioni di tutela, costituite
da critici, storici dell’architettura, pittori e scultori di fama
internazionale. E sono queste commissioni che dovrebbero soppiantarle.
Del resto va ricordato che questi “ baluardi” burocratici ( che non
approvano i piani paesistici, previsti dalla legge Bottai del 39, per
esercitare un insindacabile potere discrezionale) non hanno fatto
nulla per evitare lo scandaloso degrado cui è stata abbandonata, per
anni, la reggia di Carditello ed altri siti borbonici. Ed ogni
riferimento alla stazione Bayard è puramente intenzionale.

La memoria storica non va dispersa, perché soccorre al fine di valutare la
correttezza e l’apprezzabilità delle scelte politiche. Dalla loro
istituzione, queste sovrastrutture di burocrati, hanno conseguito o
tradito i loro scopi? La soprintendenza di Napoli è responsabile del
mostro di Alimuri, un grosso edificio costruito sugli scogli di Vico
Equense, demolito, con ignominia delle istituzioni preposte, pochi
anni fa. E del mostro di Pozzano, un enorme albergo costruito sui
ruderi dell’ex cementificio, prodigiosamente classificato come
archeologia industriale e bene da tutelare. E’ responsabile di tutti
gli ecomostri di Ottieri, e del grattacielo della Cattolica,
fabbricati realizzati, in pieno centro storico, tutti grazie al suo
eminente parere favorevole.
E’ responsabile dei mostri edilizi scaricati, come uno sfregio, sulla facciata del castello di Lamont Young al corso Vittorio Emanuele, delle stazioni del metrò collinare
che hanno brutalizzato le più importanti piazze cittadine. Una
menzione particolare va fatta dei baffi provvisori alla scogliera
della rotonda Diaz, realizzati in violazione del vincolo monumentale
di via Caracciolo. Se molta parte del Bel paese, ed in particolare il
territorio della provincia di Napoli, è diventato una pattumiera di
edilizia spazzatura, costituisce la prova evidente che le
soprintendenze hanno fallito nell’opera di conseguimento degli scopi
loro affidati.
Alle soprintendenze va tributato un altro encomio solenne, per
avere reso possibile che l’affidamento dei lavori di restauro, e la
consegna delle opere, di grandi complessi monumentali, costituisce
esperienza che sistematicamente assurge ad impresa chimerica. Agli
irresponsabili trastulli di queste soprastrutture abbiamo
rovinosamente consegnato le bellezze d’Italia.Carmine Ippolito
RispondiRispondi a tuttiInoltraAggiungi reazione - Perchè la Campania è di sinistra


Amedeo Laboccetta, attuale presidente del movimento Polo Sud, è uno storico esponente della destra in Campania. Dalle colonne del Corriere del mezzogiorno l’ex parlamentare ha argomentato la necessità, per l’area politica di centro destra, di designare il prossimo candidato presidente alla Regione Campania mediante il ricorso ad elezioni primarie.
Stante il qualificato pulpito da cui promana, la proposta di primarie costituisce un fatto politicamente rilevante, la cui portata segna un cambio di paradigma, per il centro destra, sulle rigidità del metodo di designazione dei candidati alla guida degli enti locali, ed il cui significato esige una riflessione attenta.
In cinquantacinque anni , alla presidenza della Regione Campania, si sono succeduti 15 presidenti. Dal 1970 al 1999 sono stati eletti dal Consiglio Regionale. Dal 2000, invece, in seguito alla riforma della Regione, l’elezione del presidente della giunta avviene per suffragio universale e diretto.
In cinquant’anni di storia, la Regione Campania è stata guidata da un’amministrazione definibile di centro destra soltanto solo in due circostanze. E da quando il presidente della giunta viene direttamente eletto dal corpo elettorale, il centro destra ha prevalso soltanto alle elezioni del 2010, allorquando Stefano Caldoro si affermò battendo Vincenzo De Luca, candidato della coalizione di centro sinistra.
Nelle successive elezioni del 2015, invece, il centro destra subì un vero e proprio rovescio: in tale tornata fu Vincenzo De Luca a prevalere, sostenuto dalla coalizione di centro sinistra, affermandosi non solo su Stefano Caldoro, presidente uscente, ma anche sulla candidata del Movimento 5 stelle, che raccolse un consenso di poco inferiore a quello delle liste di Forza Italia.
Questa volta De Luca fu sostenuto dal centro sinistra dopo essersi candidato, però, sin dal 2014, alle primarie della coalizione per la scelta del candidato alla presidenza della Regione.
Le primarie di coalizione per il centro sinistra si tennero il 1 Marzo 2015; e con il 52% delle preferenze De Luca superò l’europarlamentare del Pd, Andrea Cozzolino, ed il deputato del partito socialista italiano, Marco Di Lello, mentre gli altri candidati in lizza per rifondazione, Sel ed IDV si ritirarono prima del voto finale.
L’onda lunga di De Luca prese di certo slancio anche dal fatto che, stavolta, la sua designazione non fu imposta da scelte verticistiche romane ma avvenne dal basso. Vero è che si fece ricorso all’unico meccanismo di selezione primaria dei candidati alla presidenza di enti eleggibili a suffragio maggioritario e diretto. Solo l’elezione primaria, in tale forma di elezioni dirette, consente l’individuazione di figure realmente espressive della base politica territoriale delle coalizioni, e non di figure poi avvertite dall’elettorato quale frutto di scelte oligarchiche, distanti e assunte altrove. Tale stato di cose fa il paio con quello che accade a Napoli, perché trova diretta ed immediata conferma nella situazione politica ed amministrativa del capoluogo campano, e nel consolidato orientamento a sinistra delle scelte e preferenze politiche del suo elettorato.
Parafrasando il titolo del libro recentemente pubblicato da Bocchino “perché l’Italia è di Destra”, può ritenersi giunta l’ora, altrettanto opportunamente, di approfondire le ragioni del “perchè la Campania è di sinistra”.

Si tratta di un tentativo di analisi che non può ancora essere compassionevolmente differito considerato che, nel resto del paese quello di destra non è più un polo escluso o di retroguardia. Deve convenirsi che, in Campania, si è inceppato il meccanismo della democrazia dell’alternanza, quale fattore coessenziale alla tenuta democratica anche delle istituzioni periferiche. E se si intende davvero combattere un fenomeno, occorre dapprima riconoscerlo per tale.
A Napoli, dal 1952 al 2021, sono stati eletti 19 sindaci. I sindaci di destra sono stati due ( Achille Lauro e Nicola Sansanelli). E’ da considerarsi unicamente frutto del caso se dal 1962 la destra non ha più trovato posto e rappresentanza nella giunta della capitale del meridione d’Italia?
Dall’avvenuta introduzione del nuovo sistema di elezione diretta del sindaco, si sono succeduti quattro sindaci, ed il candidato sindaco del centro destra non ha mai prevalso. Neppure quando, al primo turno, il candidato del centro destra si è affermato distanziando, con un significativo vantaggio, il candidato di sinistra che, al secondo turno, raddoppiando i consensi, lo avrebbe battuto.
Cosi andarono le cose alle elezioni del 2011, allorquando al ballottaggio, venne eletto sindaco De Magistris. L’ex magistrato, dando prova di grande intuito politico, seppe cogliere lo stato di crisi in cui versava il centro sinistra napoletano, presentandosi come l’unico innovatore e moralizzatore credibile della vita amministrativa napoletana. De Magistris, a quell’appuntamento elettorale, seppe presentarsi come l’unico argine al centro destra che, quale designazione dei vertici romani, indicava invece, quale candidato sindaco, l’imprenditore Gianni Lettieri, una figura del tutto avulsa dalla vita e dalla storia politica della città di Napoli.
E fu così che il centro destra, dopo avere conseguito, al primo turno, quasi il 44% per cento dei consensi, fu battuto, al ballottaggio, da De Magistris la cui coalizione, al primo turno, aveva conseguito solo il 16,72 % dei voti. Ben sessantamila voti in meno di quelli ottenuti dal solo De Magistris quale candidato sindaco. Quest’ultimo, al secondo turno, nel testa a testa con il candidato del centro destra, vinse invece con il 65,38 % delle preferenze, raddoppiando il numero dei voti conseguiti al primo turno: passando da 128.000 a 265.000 voti. Dimostrando così che, per vincere le elezioni a suffragio diretto, il candidato alla massima carica di governo deve risultare dotato di una capacità di attrazione trasversale che si rivela decisiva per l’esito di tale peculiare forma di esperienza elettorale.

La Campania, pertanto, può riconoscersi privata del necessario meccanismo dell’alternanza nel governo delle sue maggiori istituzioni locali anche per effetto di un ceto politico locale rivelatosi, nel centro destra e fino ad oggi, subalterno. I quadri locali del centro destra non hanno mai espresso alternative, condivise dalla partecipazione della base, rispetto a candidature designate altrove, rivelatesi perdenti anche in quanto imposte dall’alto come investiture vassallatiche. Ad accordi oligarchici ed equilibri di vertice, è stata sacrificata la democrazia dell’alternanza delle istituzioni locali, la vita interna dei partiti, la salutare competizione degli attivisti e la effettiva rappresentatività di figure che, in quanto realmente capaci di potenzialmente raccogliere un consenso ampio, interclassista, plebiscitario, non hanno goduto neppure della possibilità di essere riconosciute per tali.
Carmine Ippolito
