Quello dei gasdotti North stream è il più importante sabotaggio della storia contemporanea. Un atto di guerra contro Russia (51%) e Germania (30%), comproprietarie di questi colossali investimenti, ma anche contro Olanda (9%) e Francia (9%). Al momento, però, nessuna delle vittime ha reagito pubblicamente. L’indagine sulla scena del crimine da parte della Svezia si è rivelata un’ inutile pantomima: sarebbero state trovate prove di detonazioni, ma a Mosca e Berlino è stato negato di partecipare e conoscere i risultati dell’indagine. Si tace, sopra ogni altra cosa, che il Presidente americano, Biden, aveva annunciato la volontà di distruggere il gasdotto europeo in tempi non sospetti.
Vero è che, all’esito dell’incontro tenutosi a Febbraio 2022 tra il cancelliere tedesco, e l’inquilino della Casa bianca, durante la conferenza stampa congiunta Joe Biden, non esitò apertamente a chiarire che gli Stati Uniti erano in grado di distruggere il Nord Stream. E che lo avrebbero fatto se la Russia avesse invaso l’Ucraina https://tg24.sky.it/mondo/2022/02/07/ucraina-russia-biden-scholz. Il 16 settembre 2022 il cancelliere tedesco, incautamente, ha poi osato addirittura affermare che la Germania, “In quanto nazione più popolosa, la più potente economicamente, nonché collocata geograficamente al centro del continente, le sue forze armate devono diventare il pilastro della difesa convenzionale in Europa”. Non si è reso conto Scholz che stava infrangendo la dottrina che i falchi a Washington hanno concepito per l’Europa. Nel 1992 fu Paul Wolfowitz a firmare il Defense Policy Guidance, di cui il New York Times pubblicò alcuni estratti: vi si dichiarava che gli Stati Uniti avrebbero ritenuto casus belli ogni proposito di emancipazione europea.
Sei giorni dopo l’intemerata dichiarazione del cancelliere, i Navy Seals sono entrati in azione ed hanno fatto esplodere i due gasdotti nel Baltico

E così le vie di approvvigionamento di gas dalla Russia per l’Europa Occidentale sono simultaneamente saltate proprio mentre veniva inaugurato un nuovo gasdotto con terminali in Polonia, destinato al transito di forniture di gas alternative a quelle russe. A qualcuno è dato ritenere tale singolarissima sincronia quale mero frutto del caso?

L’Europa, di fatto, è un’entità che assiste passivamente all’evoluzione di un processo storico che la conduce alla definitiva catastrofe economica e presuppone la sua radicale l’irrilevanza geopolitica.
La strategia statunitense in quanto finalizzata alla totale espansione dell’egemonia angloamericana sul vecchio continente, dalla dissoluzione dell’Unione sovietica, si è andata declinando, senza resistenze, su tre diversi piani:
- Progressivo allargamento della Nato a est, in aperta violazione degli impegni occidentali di non installazione di armi statunitensi in Europa centrale
- deliberata violazione, di tutti gli impegni assunti dopo la seconda guerra mondiale, mediante insediamento a Kiev dei nazionalisti integralisti (“nazisti” secondo la terminologia del Cremlino) che hanno vietato ai compatrioti russofoni di parlare la loro lingua madre, li hanno privati di servizi pubblici e infine hanno bombardato i compatrioti del Donbass. Tali componenti nazionaliste sono le medesime già sostenute e impiegate dalla Nato secondo il medesimo schema di operazioni in precedenza realizzate contro la Russia e la Serbia per insediare governi filo americani in Georgia ed in Kosovo.
- Aperto boicottaggio dei canali di approvvigionamento energetico delle nazioni europee da nazioni produttrici di combustibili o materie prime non rientranti nell’ombrello delle nazioni asservite all’influenza di Washington. E cambiamento autoritario dell’approvvigionamento energetico in tutta l’Europa occidentale e centrale finalizzato a recidere la saldatura euroasiatica fondata sullo sviluppo delle relazioni commerciali tra stati europei, Russia e tigri asiatiche.
Al cospetto di tali spinte, la somma delle politiche estere dei singoli stati membri dell’Unione non si è mai rivelata in grado di assurgere a massa critica rispetto alle determinazioni del governo americano. Anche il più dissenziente dei governi europei comprende che non può, da solo, opporsi agli obiettivi degli stati uniti e finisce per asservirsi tenuto conto che gli stati membri si rivelano sempre disuniti di fronte ai successivi scenari di crisi.
Non deve allora apparire curioso che la destra italiana, seppure a trazione sovranista, si è dichiarata, senza se e senza ma, atlantica che significa tutti allineati e coperti ai desiderata degli americani. Compito che l’Italia svolge disciplinatamente da 70 anni, con un paio di brevi parentesi: quella di Enrico Mattei, sul ruolo dell’Eni e quella di Bettino Craxi a Sigonella. E sappiamo come è andata a finire per entrambi. Ci siamo rifatti, però, deglutendo disciplinatamente la strage del Cermis, e ritornando, da allora, fedeli maggiordomi di Washington.
La Meloni, peraltro, è talmente smaliziata che non può non sapere che gli verrà imposto di mettere da parte ogni velleità sovranista contenuta nel suo trionfante programma elettorale. E che, se intende davvero farlo, dovrà governare da “destra repubblicana” che, nel linguaggio aristocratico del potere, significa governare esattamente come avrebbe fatto la sinistra dem, europeista, globalista, allineata e asservita ai progetti americani. Solo allora potrebbe – ma non è detto – godere di sostegno mediatico interno ed internazionale, e di adeguata copertura giudiziaria. Essendo la politica un’arte che si esercita sulla base dei rapporti di forza, il dato da cui non è dato prescindere è che ogni super potenza si spinge sino all’estremo confine delle sue possibilità, e si arresta solo dove incontra una resistenza. E dalla caduta del muro, gli Stati uniti hanno continuato ad estendere lo spazio giuridico e militare del loro potere. Il Congresso ha addirittura votato leggi extraterritoriali con le quali l’America ha preteso imporre sanzioni agli stati che non si adeguavano alle sue prescrizioni. Unica eccezione, alla strutturale irrilevanza dell’Europa uscita dal secondo conflitto bellico, è costituita dal gollismo, quale espressione di uno stile nazionale che però anche in Francia si è andato progressivamente dissipando. De Gaulle agiva come chi pensa che la grandezza di un uomo di stato è data dalla sua capacità di impregnarsi a fondo nelle querelle di carattere internazionale. Durante la sua presidenza, il generale non indietreggiò dinanzi alla superpotenza statunitense. Polemizzò contro il dollaro, contro le basi militari Nato in Francia imponendone la disinstallazione, per l’indipendenza del Quebec, contro l’ingresso della gran Bretagna nell’Unione Europea, contro la guerra dell’America in Vietnam.

Durante la rivolta di Algeri, furono realizzati attentati alla vita del generale. De Gaulle, abilmente, finse di credere che fossero opera dell’Organizzazione dell’Armata Segreta (OAS), formata dai francesi che si opponevano all’indipendenza dell’Algeria. Ma già il ministro degli Esteri dell’epoca, Maurice Couve de Murville, menzionò pubblicamente il ruolo dell’Opus Dei spagnola e della CIA nell’organizzazione e nel finanziamento degli attentati. De Gaulle cercò e identificò i traditori, riorganizzò la polizia e le forze armate e cinque anni dopo improvvisamente annunciò il ritiro della Francia dal comando integrato della Nato, cui diede due settimane per chiudere la sede di Parigi-Dauphine e migrare in Belgio. Concesse un po’ più di tempo per chiudere le 29 basi militari dell’Alleanza. Iniziò in seguito a viaggiare all’estero per denunciare l’ipocrisia statunitense, soprattutto la guerra del Vietnam. La Francia riconquistò così un ruolo di potenza nelle relazioni internazionali.
Qualcuno in Europa oggi intravede una figura dotata di statura, spalle e spirito adeguati ad efficacemente emulare la dottrina De Gaulle?
Carmine Ippolito