XXI SECOLO METAFISICA DEL CAOS

La meditazione sugli avvenimenti esige talvolta di andare oltre il contingente, il fisico, per ricercarne  principi, cause recondite e significati ultimi.

Il principio

Nel 1989 la caduta del Muro di Berlino determina la dissoluzione dell’Unione sovietica. E’ il crollo di un regime, non la fine di un impero. E neppure la perdita del riconosciuto status di potenza mondiale della Russia. Con il 1989 non scompare una civiltà dei cui valori plurimillenari è depositaria anche la chiesa ortodossa. Restano, altresì, i miti, gli eroi, l’arte, la letteratura, la musica, il teatro ed i suoi arsenali militari intatti, convenzionali e nucleari. Solo in apparenza, il 1989,stabilizza un nuovo ordine mondiale. Nel profondo marca un sommovimento tellurico in Europa le cui più violente onde sismiche stanno manifestandosi adesso in superficie. Fino alla dissoluzione del Patto di Varsavia, i rapporti tra stati si ispiravano a criteri di equilibrio di poteri tra stati sovrani ( balance of power secondo la dottrina Kissingeriana) . La guerra fredda postulava un chiaro ordine soggiacente, un equilibrio bilaterale tra blocchi che, con la dissoluzione dell’Unione sovietica, si estingue. Gli effetti del 1989 poi non si arrestano alla fine del sistema dell’equilibrio tra potenze in Europa. La fine della guerra fredda tra blocchi determina anche un cambiamento del sistema statuale europeo.

 Il venire meno dell’alleanza tra i paesi ex comunisti incide molto in profondità sul vecchio sistema di equilibrio di poteri tra stati: in Europa. Si trasforma l’idea di statualità: gli stati europei, nelle relazioni internazionali, si comportano in forma progressivamente diversa rispetto al passato. Stringono alleanze che si affermano in pace e resistono in guerra, ammettono interferenze strutturali permanenti nei reciproci affari interni, accettano la giurisdizione di corti internazionali. Nel vecchio continente subisce così una repentina accelerazione il declino del concetto sovranità: impariamo a conoscere forme di stati a sovranità limitata, con una indipendenza sempre meno assoluta. Si afferma che le relazioni tra le nazioni devono ispirarsi al criterio della cooperazione, e non più all’equilibrio o contenimento delle aspirazioni egemoniche di una nazione su ogni altra. Tanta nobiltà d’intenti sottende, però, che la sicurezza interna e dei confini sia demandata all’unica potenza nucleare uscita ideologicamente vincitrice dalla guerra fredda: gli Stati uniti esercitano tale mission attraverso il progressivo allargamento della NATO che da alleanza nord atlantica, costituita in chiave unicamente difensiva – e per scopi di contenimento delle possibili tracimazioni del blocco sovietico verso il Mediterraneo – si trasforma in chiave espansionista. Eloquente è però una circostanza: gli stati Uniti favoriscono i processi globalisti di cooperazione tra stati, se ne fanno garanti, ma non vi partecipano. Anche all’esito della dissoluzione dell’Unione sovietica, la statualità americana non patisce mutazioni in termini di vulnerazione della sovranità. Si rafforza invece la mission di poliziotto del mondo che Washington si auto conferisce: gli States non ammettono, da parte di alcuno, né interferenze interne e sugli interessi esterni, ossia sugli obiettivi espansivi in direzione di tutte le possibili aree del pianeta. Di talché il sogno espansionista americano non avverte più ostacoli. Dalle sfere di influenza segnate a Yalta tra le potenze uscite vincitrici dal secondo conflitto mondiale, si passa al nuovo ordine mondiale che sottende un unico governo egemone in un pianeta senza confini , a direzione e ideologia unipolare.

Le radici del conflitto Russo Ucraino Nato

La disintegrazione dell’unione sovietica, come regime politico, non determina la scomparsa della Russia come civiltà. La Russia sopravvive come erede della sua storica dimensione imperiale con conseguenti prerogative egemoniche o di controllo sulle aree di influenza incidenti sul cosiddetto spazio post sovietico.

La Russia, peraltro, non aderisce alla concezione post moderna dello stato, fondata sulla cooperazione, che si va affermando. Il governo Russo non rivendica però mire espansioniste ma aspira alla conservazione degli equilibri e degli obiettivi di contenimento tra potenze (balance of power) detentrici non solo di risorse e materie prime, ma anche di sterminati arsenali nucleari, convenzionali e non convenzionali. Respinge la visione totalizzante della civiltà mono ideologica e unipolare che la spinta egemonica statunitense, con la fine dei blocchi, sente di poter affermare incontrastata. Avverte il supporto culturale ed identitario della Chiesa ortodossa che, sopravvissuta a settanta anni di ateismo ideologico, ne esce spiritualmente rafforzata, senza cedimenti dottrinali e dispersione di fedeli che non subiscono il fascino dall’annichilimento dei valori che si afferma in occidente.

Sicché la parabola che porta all’invasione russa dell’Ucraina comincia il 9 febbraio 1990, quando il segretario di Stato americano, James Baker chiede a Mikhail Gorbacëv: «Preferisce vedere una Germania unita fuori della Nato, indipendente e senza Forze armate americane, oppure una Germania unita vincolata alla Nato, con la garanzia che la giurisdizione della Nato non si sposterà di un pollice verso est?». Mai domanda fra statisti fu più retorica, ovviamente. Trent’anni dopo, l’Alleanza Atlantica è avanzata di circa cinquecento chilometri dall’Elba al Bug, quasi duemila chilometri se consideriamo l’intero fronte dal Baltico al Nero. Cammin facendo ha inglobato tre Stati ex sovietici – Estonia, Lettonia, Lituania – che, insieme a Norvegia e Polonia, si affacciano direttamente sulla Russia. E viceversa. Malgrado alla piccola frase del segretario di Stato Usa seguano negli anni immediatamente successivi analoghe assicurazioni occidentali, spesso ambigue, sempre informali.

La formidabile espansione dell’area Nato, in progressivo accerchiamento dei confini della Russia, ovviamente collide non solo con i patti stipulati alla caduta del Muro di Berlino, e con i conseguenti equilibri di pace che tali accordi miravano a preservare, ma soprattutto con gli obbiettivi strategici, legittimamente rivendicati dalla Russia, in quanto frutto di accordi volti alla preservazione del suo status di potenza regionale. Preservare una civiltà di cui si riconosce erede, per la Russia significava peraltro non potersi voltare dall’altra parte dinanzi ai tremendi conflitti etnici che nel frattempo travolgevano  un numero molto grande di abitanti ( come in Ucraina) di etnia e civiltà russa.

Quest’ultimo punto, va detto, ha goduto, fino ad oggi, di scarsissima attenzione da parte dell’opinione pubblica e delle cancellerie occidentali: gli interessi vitali delle popolazioni che, dopo il crollo dell’unione sovietica, si sono trovate a vivere fuori dai confini della federazione Russa non sono mai stati seriamente considerati. Ostinarsi a non volere riconoscere che quella Russa è una questione ineludibile potrebbe rivelarsi esiziale per i destini dell’Europa: la Russia è infatti la Nazione più grande e divisa d’Europa: non meno della metà della popolazione ucraina è russa. Si tratta di non meno di 20 milioni di persone. La percentuale sale fino al 75-80% per cento se consideriamo le persone che parlano Russo come prima lingua. Se il popolo tedesco si è visto riconosciuto il diritto di riunificarsi in unico stato ( tra l’altro con l’aiuto del governo Russo) alla riunificazione non ne ha meno diritto il popolo russo.

Gli scopi ultimi

Poste queste premesse, va riconosciuto che Putin ha agito con il fine di conservare il sistema di equilibri uscito dagli accordi di Yalta e Potsdam, realizzando una strategia politica alternativa a quella americana: ossia una strategia di non interferenza negli affari interni degli stati sovrani tentando di realizzare il principio della sicurezza collettiva indivisibile, secondo il quale la sicurezza di un gruppo di paesi non deve essere realizzata a scapito della perdita di sicurezza da parte di un altro gruppo di paesi.

Ne sono un esempio le numerose proposte che Mosca ha fatto agli USA, ed ai suoi vassalli europei, fino alla vigilia dell’esplosione del conflitto Russo ucraino, di rinunziare a posizionare sistemi di difesa militare americana ai confini Russi. Neppure irragionevole è da considerarsi la prerogativa, rivendicata dalla Russia, di lavorare nella direzione strategica di passare da un mondo monopolare, in cui gli USA aspirano ad assurgere ad unica potenza egemone, ad un visione multipolare del futuro del pianeta. A nessuno del resto è dato affermare che il Governo Russo abbia lavorato per lacerare l’Unione Europea e la stessa Nato. Del resto chiunque vede che tale unità non esiste più e la sua parvenza – che si manifesta ancora in alcune scelte comuni come l’autolesionistica politica delle sanzioni alla Russia – è garantita solo dal controllo militare ed economico esercitato da Washington sulle elites eurocratiche, sempre meno rappresentative ed isolate .

D’altro canto sono sempre più evidenti i segni di sgretolamento, al suo interno, del sistema Unione Europea – Nato. E questo perché si tratta di sistemi onsoleti, invecchiati e che, avendo preteso di espandersi troppo oltre i propri confini naturali, controllano poco e, soprattutto, e rappresentano i popoli ancora meno . Non so se Putin pensi – come me – che l’Unione Europea crollerà presto per le stesse ragioni per cui è crollata l’unione sovietica. Certamente è chiaro alla Russia, alla Cina ed all’India, e non solo a Putin, quanto sia evidente la crisi di civiltà dell’Europa classica. Di talché c’è da attendersi che i paesi europei meno dipendenti dagli States, e dotati di governi più perspicaci, si affidino alla Russia quale unica vera possibile garante della difesa di quello che ancora resta della civiltà Europea.

Quesito finale

La Russia è invasore, ma con obiettivi di contenimento. E’ il disperante senso del declino che spinge gli USA ancora ad incessantemente espandersi?

Carmine Ippolito

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