Cronaca di un contagio politicamente corretto

Tutto quello che doveva essere fatto, per evitare la diffusione del virus nel nostro paese, non è stato fatto e tutto quello che non doveva essere fatto e consentito, invece, è stato fatto e permesso.


Il Corona virus è ufficialmente giunto in Italia. Il nostro, si sa, è un paese accogliente. A questo fine, tutte le condizioni affinché il virus si stanziasse sul nostro territorio erano state tempestivamente adottate e predisposte. Con soddisfazione adesso si contano i casi finora conclamati, si registrano le prime vittime e si monitorano i pazienti sospetti. Le autorità sanitarie, va detto ( Governo, presidenti di regione, prefetti e sindaci) fino al conclamato manifestarsi del contagio, sono state perfette. Tutto quello che doveva essere fatto, per evitare la diffusione del virus nel nostro paese, non è stato fatto e tutto quello che non doveva essere fatto, invece, è stato fatto, permesso e consentito. Ai fini della possibile diffusione di una epidemia, le linee guida fino ad oggi prescelte, dalle massime autorità sanitarie del nostro paese, possono definirsi impeccabili, politicamente esemplari, scientificamente inoppugnabili. Roba da poterci scrivere un manuale universitario di tecnica di diffusione di ogni possibile forma di contagio.

Si è detto che adottare le più banali misure di prevenzione del rischio, quali impedire o limitare gli ingressi nel nostro paese di persone provenienti dalla Cina e dai paesi più colpiti dall’epidemia, oppure disporre preventive misure di quarantena, sarebbe stato discriminatorio, addirittura razzista. Si è detto soprattutto che il pericolo della diffusione dei contagi planetari, in un mondo iperconnesso, deve considerarsi un effetto collaterale ed inevitabile dei processi di globalizzazione in atto. E si è ossessivamente ripetuto che alla globalizzazione non ci può essere alternativa. Ci si trastulla, peraltro, nell’evocare pervicamente petizioni di principio di matrice pseudo umanitaria nel mentre, per ironia della sorte, sopraggiunge la notizia che il contagio risulta essersi manifestato anche in Africa, ossia nel continente superpopolato e meno attrezzato a contenerne la diffusione ed a praticare possibili misure di contrasto. In fondo è nella criminale ed indimostrata asserzione, secondo la quale alla globalizzazione non c’è alternativa, che alligna il male ideologico assoluto dei nostri giorni: TINA è il male di cui si pretende muoia l’Occidente e che rischia di rivelarsi esiziale anche in prospettiva di una catastrofe epidemiologica che si preannuncia di dimensioni planetarie ed a cui si pretende che i popoli assistano, subendola, inermi. TINA è un acronimo che compendia quell’ espediente propagandistico su cui fonda la criminale ideologia mediante l’affermazione della quale si persegue il definitivo tracollo dell’Occidente. Tina è una sigla, sta per “there is no alternative”, che compendia quella banale ed indimostrata corrente di pensiero stando alla quale non possono prefigurarsi alternative ai processi di globalizzazione in atto. E sulla base dell’ossessiva ripetizione propagandistica di questo indimostrato assunto ideologico, TINA, ossia non ci sono alternative alla mondializzazione, si pretende che i popoli occidentali si rassegnino alla deriva di un governo unico mondiale così come ad ogni forma di pestilenziale e planetario contagio. Gli opinionisti si esercitano, come sempre, nel loro sport preferito: la polemica sterile tra allarmisti e minimizzatori. Secondo questi ultimi, in particolare, il corona virus cagiona soltanto una banale influenza che non esclude il rischio di un esito letale. Cose che possono capitare, insomma, e che vanno affrontate con pazienza ed un certa filosofia. Se si tratta di una banale sindrome influenzale non si comprendono però le ragioni che impongono l’ospedalizzazione e la quarantena degli affetti dal virus. Al punto in cui siamo, per contenere la diffusione del contagio sarebbe necessario disporre la drastica chiusura, per almeno venti giorni, di tutti gli edifici con sistemi di climatizzazione chiusa ed ad alta concentrazione di pubblico e personale (scuole, uffici pubblici, fabbriche, stadi, cinema ed altri locali o ritrovi aperti al pubblico).  I posteri ed i sopravvissuti, comunque, avranno il privilegio di rievocare con orgoglio, quello del coronavirus, come il primo flagello della storia a cui l’umanità si sottopose in esemplare forma politicamente corretta.

Carmine Ippolito