Perchè la Campania è di sinistra

Amedeo Laboccetta, attuale presidente del movimento Polo Sud, è uno storico esponente della destra in Campania.  Dalle colonne del Corriere del mezzogiorno l’ex parlamentare ha argomentato la necessità, per l’area politica di centro destra, di designare il prossimo candidato presidente alla Regione Campania mediante il ricorso ad elezioni primarie.

Stante il qualificato pulpito da cui promana, la proposta di primarie costituisce un fatto politicamente rilevante,  la cui portata segna un cambio di paradigma, per il centro destra, sulle rigidità del metodo di designazione dei candidati alla guida degli enti locali, ed il cui significato esige una riflessione attenta.

In cinquantacinque anni , alla presidenza della Regione Campania, si sono succeduti 15 presidenti.  Dal 1970 al 1999 sono stati eletti dal Consiglio Regionale. Dal 2000, invece, in seguito alla riforma della Regione, l’elezione del presidente della giunta avviene per suffragio universale e diretto.

In cinquant’anni di storia, la Regione Campania è stata guidata da un’amministrazione definibile di centro destra soltanto solo in due circostanze.  E da quando il presidente della giunta viene direttamente eletto dal corpo elettorale, il centro destra ha prevalso soltanto alle elezioni del 2010, allorquando Stefano Caldoro si affermò battendo Vincenzo De Luca, candidato della coalizione di centro sinistra.

Nelle successive elezioni del 2015, invece, il centro destra subì un vero e proprio rovescio: in tale tornata fu Vincenzo De Luca a prevalere,  sostenuto dalla coalizione di centro sinistra, affermandosi non solo su Stefano Caldoro, presidente uscente, ma anche sulla candidata del Movimento 5 stelle, che raccolse un consenso di poco inferiore a quello delle liste di Forza Italia.

Questa volta De Luca fu sostenuto dal centro sinistra dopo essersi candidato, però, sin dal 2014, alle primarie della coalizione per la scelta del candidato alla presidenza della Regione.

Le primarie di coalizione per il centro sinistra si tennero il 1 Marzo 2015; e con il 52% delle preferenze De Luca superò l’europarlamentare del Pd, Andrea Cozzolino, ed il deputato del partito socialista italiano, Marco Di Lello, mentre gli altri candidati in lizza per rifondazione, Sel ed IDV si ritirarono prima del voto finale.

L’onda lunga di De Luca prese di certo slancio anche dal fatto che, stavolta, la sua designazione non fu imposta da scelte verticistiche romane ma avvenne dal basso.  Vero è che si fece ricorso all’unico meccanismo di selezione primaria dei candidati alla presidenza di enti eleggibili a suffragio maggioritario e diretto. Solo l’elezione primaria, in tale forma di elezioni dirette, consente l’individuazione di figure realmente espressive della base politica territoriale delle coalizioni, e non di figure poi avvertite dall’elettorato quale frutto di scelte oligarchiche, distanti e assunte altrove.  Tale stato di cose fa il paio con quello che accade a Napoli, perché trova diretta ed immediata conferma nella situazione politica ed amministrativa del capoluogo campano, e nel consolidato orientamento a sinistra delle scelte e preferenze politiche del suo elettorato.

Parafrasando il titolo del libro recentemente pubblicato da Bocchino “perché l’Italia è di Destra”, può ritenersi giunta l’ora, altrettanto opportunamente, di approfondire le ragioni del “perchè la Campania è di sinistra”.  

Si tratta di un tentativo di analisi che non può ancora essere compassionevolmente differito considerato che, nel resto del paese quello di destra non è più un polo escluso o di retroguardia. Deve convenirsi che, in Campania, si è inceppato il meccanismo della democrazia dell’alternanza, quale fattore coessenziale alla tenuta democratica anche delle istituzioni periferiche. E se si intende davvero combattere un fenomeno, occorre dapprima riconoscerlo per tale.

A Napoli, dal 1952 al 2021, sono stati eletti 19 sindaci. I sindaci di destra sono stati due ( Achille Lauro e Nicola Sansanelli). E’ da considerarsi unicamente frutto del caso se dal 1962 la destra non ha più trovato posto e rappresentanza  nella giunta della capitale del meridione d’Italia?

Dall’avvenuta introduzione del nuovo sistema di elezione diretta del sindaco, si sono succeduti quattro sindaci, ed il candidato sindaco del centro destra non ha mai prevalso. Neppure quando, al primo turno, il candidato del centro destra si è affermato distanziando, con un significativo vantaggio, il candidato di sinistra che, al secondo turno, raddoppiando i consensi, lo avrebbe battuto.

Cosi andarono le cose alle elezioni del 2011, allorquando al ballottaggio, venne eletto sindaco De Magistris. L’ex magistrato, dando prova di grande intuito politico, seppe cogliere lo stato di crisi in cui versava il centro sinistra napoletano, presentandosi come l’unico innovatore e moralizzatore credibile della vita amministrativa napoletana. De  Magistris, a quell’appuntamento elettorale, seppe presentarsi come l’unico argine al centro destra che, quale designazione dei vertici romani, indicava invece, quale candidato sindaco, l’imprenditore Gianni Lettieri, una figura del tutto avulsa dalla vita e dalla storia politica della città di Napoli.

E fu così  che il centro destra, dopo avere conseguito, al primo turno, quasi il 44% per cento dei consensi, fu battuto, al ballottaggio, da De Magistris la cui coalizione, al primo  turno, aveva conseguito solo il 16,72 % dei voti. Ben sessantamila voti in meno di quelli ottenuti dal solo De Magistris quale candidato sindaco. Quest’ultimo, al secondo turno, nel testa a testa con il candidato del centro destra, vinse invece con il 65,38 % delle preferenze, raddoppiando il numero dei voti conseguiti al primo turno: passando da 128.000  a 265.000 voti. Dimostrando così che, per vincere le elezioni a suffragio diretto, il candidato alla massima carica di governo deve risultare dotato di una capacità di attrazione trasversale che si rivela decisiva per l’esito di tale peculiare forma di esperienza elettorale.

La Campania, pertanto, può riconoscersi privata del necessario meccanismo dell’alternanza nel governo delle sue maggiori istituzioni locali anche per effetto di un ceto politico locale rivelatosi, nel centro destra e fino ad oggi, subalterno. I quadri locali del centro destra non hanno mai espresso alternative, condivise dalla partecipazione della base, rispetto a candidature designate altrove, rivelatesi perdenti anche in quanto imposte dall’alto come investiture vassallatiche. Ad accordi oligarchici ed equilibri di vertice, è stata sacrificata la democrazia dell’alternanza delle istituzioni locali, la vita interna dei partiti, la salutare competizione degli attivisti e la effettiva rappresentatività di figure che, in quanto realmente capaci di potenzialmente raccogliere un consenso ampio, interclassista, plebiscitario, non hanno goduto neppure della possibilità di essere riconosciute per tali.      

Carmine Ippolito

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