Emergenza Carcere, soluzioni non proclami

15 suicidi da inizio anno. La media si avvicina ad uno ogni due giorni. Senza un inversione del drammatico trend, il bilancio finale rischia di assumere le dimensioni di una carneficina annunciata. La soluzione dichiarata è affidata all’intendimento di costruire nuove prigioni. La tempistica sottesa alla realizzazione di tale nobile piano di edilizia carceraria suona come una condanna a morte per moltitudini di infelici. E’ chiaro che si succedono schieramenti alternativi al governo, ma l’approccio panpenalistico non muta. E’ vorticosa l’introduzione di nuove figure di reato e i continui inasprimenti di pena. Non bastando l’omicidio stradale è stato introdotto l’omicidio nautico ed è stato già proposto l’omicidio sul lavoro. All’arretramento dell’intervento dello stato nell’economia, al tramonto dello stato sociale corrisponde l’espansione dello stato penale volto a contenere gli emarginati, gli esclusi dalla decrescita infelice ossia dai quei processi concepiti dall’elìte tecno capitalista dominante, eufemisticamente imposti come transizioni.  

L’aumento dei suicidi è un effetto della disperazione carceraria generata non solo dal sovraffollamento e dalla condizione inumana in cui versano i reclusi. E’ anche il dramma dell’abbandono generato non solo dalla carenza di strutture carcerarie ed operatori penitenziari ma dalla disperante mortificazione della difesa tecnica resa ancora più acuta dalla riforma Cartabia.

Gli effetti delle drastiche limitazioni imposte alla legittimazione ad impugnare sentenze di condanna e provvedimenti restrittivi, determinano il conseguente inesorabile passaggio in giudicato di migliaia verdetti di colpevolezza che fagocitano soprattutto i meno abbienti nel tritacarne della inappellabile definitiva esecuzione di una carcerazione che potrebbe talvolta essere evitata e, talaltra, significativamente mitigata.

L’emergenza non può essere affrontata con  vuoti proclami o con i lenti ritmi della burocrazia della pianificazione a stento concepita.

Occorre porre mano ad interventi legislativi immediati:

notifica dell’estratto della sentenza di condanna per gli imputati giudicati in assenza;

legittimazione ad impugnare sentenze di condanna, provvedimenti applicativi di misure coercitive del difensore di ufficio o di fiducia, senza necessità di mandato speciale e nuova elezione di domicilio, allorquando si tratti di imputati detenuti in carcere o imputati irreperibili; ripristino uffici impugnazioni esterne; deposito telematico di istanze, note, memorie e impugnazioni facoltativo e non obbligatorio per le parti processuali;    

quelle invocate sono urgenze non avvertite come tali dalle forze di governo che trovano analoga insensibilità delle opposizioni e che sottendono un agghiacciante vuoto culturale nel discorso pubblico: agli occhi dell’opinione pubblica l’imputato è già colpevole ed il detenuto è identificato e va combattuto alla pari dell’errore di cui è stato giudicato colpevole.  Un manicheismo che non sa comprendere e non vuole elaborare i percorsi che non privino di opportunità le scelte di coloro che non intendano ledere, per il futuro, il bene proprio, altrui e quello generale.

Alla politica si chiede e, soprattutto, si impone di sostenere esperienze virtuose predisponendo mezzi, operatori e strutture e non destinando ad obiettivi disumanizzanti le risorse disponibili. Al Governo si impone di recuperare la necessaria agibilità alla prerogative della difesa nel processo penale mortificate da riforme dettate da standard economici eccentrici all’esperienza processuale che ne determinano l’infausto imbarbarimento e gli alti costi di disperazione che si stanno drammaticamente e ineluttabilmente registrando. 

Carmine Ippolito

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