IL PROCESSO ACCUSATORIO AI TEMPI DEL PNRR
Nella nota n. 44103 del 21.12.2023, firmata dal capo del Gabinetto del ministro della Giustizia, e nell’atto di indirizzo politico istituzionale per il 2024, datato 29.12.2023 sottoscritto dallo stesso Ministro Nordio, sono indicati i punti più significativi inseriti nell’agenda per la Giustizia del 2024.
Entrambi i documenti enunciano il quadro dell’azione del Governo per la giustizia anche all’esito delle modifiche stabilite nel frattempo agli obiettivi del Pnrr.
I nuovi obiettivi, approvati dalla commissione europea per stare in linea con le condizioni fissate per il PNRR, vanno conseguiti entro giugno 2026. Richiedono un poderoso abbattimento dell’arretrato per le cause pendenti da più anni presso i Tribunali e le Corti di appello civili e una notevole riduzione del tempo di trattazione dei processi, stabilita nella misura del 40% per il settore civile e del 25% per il penale.
Era il 24 ottobre 1988 quando apparve sulla gazzetta ufficiale il testo del codice di procedura penale, recante la firma dell’allora Ministro Guardasigilli Giuliano Vassalli, tuttora vigente.
L’obiettivo di tale codice, si disse, era quello di sostituire al modello processuale inquisitorio previgente, di matrice autoritaria, un codice ispirato ad un modulo di tipo accusatorio meglio compatibile con i principi di una moderna democrazia liberale. Dopo trentaquattro anni è evidente che tale riforma non è però mai giunta a compimento. E nonostante oltre cento interventi di modifica, il giusto processo ha subito, invece, brusche frenate e significativi arretramenti.
Condizione inderogabile, affinché un processo possa definirsi realmente accusatorio, è data dalla condizione di parità tra le parti innanzi ad un Giudice terzo ed imparziale. La storia del diritto ha offerto molteplici esempi di tale modello processuale che esigeva la subordinazione del suo svolgersi all’iniziativa di un cittadino che si fosse preso cura di promuoverlo, manifestando al magistrato, tramite la postulatio, il proprio intendimento di agire rei pubblicae causa, cioè nell’interesse della comunità. Permanendo in Italia l’appartenenza della magistratura inquirente – che raccoglie le prove, formula l’imputazione e sostiene l’accusa – al medesimo ordine della magistratura giudicante, la costruzione di tale modello processuale è restata nel limbo delle opere eternamente incompiute.
Quello accusatorio è un modello che del tutto impropriamente viene definito anglossassone: seppure attualmente vigente nei paesi di common law, si tratta del rito concepito e previsto già nella Roma sia repubblicana che imperiale, quando in Britannia forse neppure conoscevano l’uso della scrittura e degli Stati Uniti neppure era concepibile l’esistenza.
Fa riflettere che tra gli obiettivi, dettati all’Italia dal governo dell’Unione europea per l’erogazione dei fondi previsti dal piano di ripresa e resilienza, il perfezionamento del modello accusatorio del processo penale sia stato ritenuto irrilevante, sebbene conforme ai principi dello stato di diritto consacrati nella CEDU. Deve dedursi che, in ambito UE, l’affermazione di un processo accusatorio è, sotto il profilo ideologico, riconosciuto quale fattore diseconomico.

Le stesse modifiche processuali già introdotte con la riforma Cartabia per il conseguimento degli obiettivi imposti dal PNRR, erano volte mica a rendere equo ma celere, e non più ragionevole, la durata del processo – come esigono le spinte di matrice mercatista cui sono ispirate tutte le riforme imposte dalla UE.
Breve nota esplicativa sul piano di resilienza e ripresa.
Quali sono i mirabili scopi cui stiamo sacrificando garanzie basilari? Il next generation eu, piano nazionale di ripresa e resilienza, compendiato nell’acronimo Pnrr, è un fondo, istituito in sede comunitaria, per erogare finanziamenti agli stati membri che ne abbiano fatto richiesta dimostrando di averne i requisiti.
L’italia è stata ammessa al piano di finanziamento per circa duecento miliardi, nella misura massima prevista dal relativo fondo. Il piano complementare promuove un’ambiziosa agenda di riforme, contemplando sei missioni da realizzare: transizione ambientale, energetica, Pubblica amministrazione, Giustizia, Semplificazione,Competitività.
Complessivamente, per il conseguimento di tali obiettivi, devono essere spesi oltre 220 miliardi di euro. Un cifra di portata enorme.
Quando si parla di PNRR si tende a tralasciare una peculiarità nient’affatto secondaria: gli ambiti di investimento non sono rimessi all’autodeterminazione degli stati membri. L’ammissione degli stati al piano di finanziamenti impone condizioni ed obiettivi prestabiliti in sede sovranazionale. Ed infatti dell’intero ammontare del piano di finanziamenti cui l’italia è stata ammessa, 40,32 miliardi devono essere spesi in digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura.
L’ammissione al finanziamento fonda sulla seguente una scommessa del tutto indimostrata: l’ impiego dell’ enorme prestito erogato favorirà lo sviluppo ed aumenterà il tasso di crescita della nazione.
E’ chiaro a tutti che il Pnrr fonda su di un vizio di origine: troppi soldi, troppa pressione di spenderli, troppo poco tempo per spenderli. Per questo contempla cifre alte su spese inutili ma nelle quali è facile impiegare quanto erogato: super bonus per l’efficientamento energetico dei fabbricati, diffusione del digitale nelle scuole, nella giustizia e nella pubblica amministrazione. La quota da destinare al potenziamento del singoli comparti è, invece, irrisoria: nulla è previsto per il potenziamento degli organici nella sanità, nella giustizia, nella sicurezza, nei trasporti. Settori dove il sottodimensionamento del personale incide sulla efficienza e qualità del servizio.

E’ opportuno non perdere mai di vista che quelli erogati per il conseguimento degli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea sono prestiti, non finanziamenti a fondo perduto. I relativi importi devono essere restituiti, quindi, con i dovuti interessi al mercato del credito con cui gli stati si indebitano per i finanziamenti previsti dal PNRR.
Quale visione della giustizia ispira le condizioni imposte per i finanziamenti PNRR?
Orbene, un processo di riforma giammai fondato sul nesso di verità e giustizia ma orientato alla celerizzazione della durata del processo ed alla digitalizzazione delle sue forme, preconizza l’irrilevanza dello stato di diritto, svuota di concreto significato l’esperienza processuale, ne sancisce l’irrilevanza e predispone la giurisdizione al definitivo suicidio.
Intanto, l’introduzione sempre più estesa delle forme di definizione non partecipata dei giudizi di appello, è una della cause della sempre più evidente desertificazione dei luoghi della giustizia e della conseguente scomparsa del Foro, quale ancestrale centro di confronto, palpitante agorà dell’urbe, luogo di elezione volto ad affidare alla coscienza della giurisdizione il precipitato di ogni esperienza tecnica, ricerca scientifica e sapere umanistico. Con conseguenti ricadute esiziali sul piano dell’arretramento della civiltà del diritto come fino ad oggi conosciuta.
E nella desertificazione delle aule si misura lo svuotamento dell’esperienza processuale visto che la pretesa definizione non partecipata del processo ne costituisce un asimettrico e burocratico surrogato giammai assimilabile alla misterica dimensione del confronto processuale.
Enzo Tortora, in appello, sarebbe stato assolto se giudicato in forma non partecipata e se i suoi difensori si fossero limitati rassegnare le conclusioni per iscritto?
Le memorie, le note e le conclusioni difensive, rassegnate esclusivamente per iscritto, non possono supplire alla dimensione esperienziale del processo inteso quale discussione partecipata e rimessa al confronto orale, dialettico e polemico fra le parti. La parola infatti aspira non solo a rimettere alla riflessiva intelligenza del giudicante le tesi in essa articolate, ma esige attirarne l’attenzione, catturarne la concentrazione ma, soprattutto, scuoterne la coscienza anche in dialettica o polemica contrapposizione alla controparte.
Piegando gli scopi di legislazione interna al predicato efficientismo imposto dagli organismi sovranazionali, si consegna la giurisdizione alla fede cieca e irrazionale nei mercati e nella tecnica che assurgono a nuove religioni civili, uniche divinità e residui riferimenti valoriali in un mondo che sembra non averne più alcuno.
Karl Marx, nelle pagine del Grundrisse, affermava: “L’economia è il nostro destino”. Gli obiettivi imposti per l’ammissione al Pnrr sembrano voler piegare al primato dell’economia anche le sorti della Giurisdizione, sulla scorta di un assioma indimostrato: la riduzione della trattazione della durata del processo determina crescita, ripresa economica e l’aumento del PIL.
Vero è che, stando agli esiti dei più recenti monitoraggi, alcuni obiettivi posti dalla commissione europea, in sede di modifica degli obiettivi per il pnrr, sarebbero già stati conseguiti. La durata di trattazione dei processi penali, risulta avere conseguito una diminuzione del 29% della durata, addirittura superiore alle soglie imposte. Dall’accelerazione dei processi ne risultano derivati segnali di ripresa della produzione o dell’occupazione? Dio è morto, gli dei sono scomparsi, ipostatizziamo altre divinità. Digitalizzazione ed efficientismo però generano complicazioni e non fanno miracoli.
Carmine Ippolito
