Annunziata maggiore, abbandono ed oblio

Storia, logica e ragione non sempre vanno a braccetto. I corsi storici non rispondono a ragion pura e neppure a criteri di logica elementare.

L’ abbandono in cui da tempo versa la Basilica dell’Annunziata maggiore, a Napoli, conferma la regola appena enunciata. Di certo si tratta di un clamoroso controsenso storico visto che lo stato di abbandono affligge la più antica istituzione europea per l’infanzia abbandonata. Fu di certo l’Ente più antico ed autorevole d’Europa, il primo che assolse a tale mirabile funzione umanitaria.

 L’intero complesso dell’Annunziata è, peraltro,  un portentoso concentrato di testimonianze storiche, di bellezze artistiche e beni monumentali. Anche in tal senso costituisce un abominio culturale la distrazione dimostrata dagli enti cui ne è affidata la gestione. Il diffuso stato di rovina ne preclude la fruizione collettiva che, invece, sia sul piano pedagogico che del mero godimento estetico meriterebbe di essere assai più diffusa.

L’amnesia dell’amministrazione comunale, quale ente pubblico di appartenenza ed organo di gestione del bene, è in tal senso inescusabile per una pluralità di ragioni: 1) nel 2023 ricorre il duocentocinquantesimo anniversario della morte di Vanvitelli tra i cui capolavori si annovera proprio la basilica dell’annunziata maggiore. Le celebrazioni vanvitelliane costituiscono un’opportunità di valorizzazione del prezioso complesso che l’insensibilità dell’amministrazione sta colpevolmente dissipando. 

 Vero è che la prima chiesa fu realizzata nel XIII secolo dagli Angioini. L’edificio fu poi completamente ricostruito e ampliato a partire dal 1513. La chiesa fu però quasi completamente distrutta da un grande incendio nel 1757 ed i lavori di ristrutturazione vennero affidati a Luigi Vanvitelli. Per consentire le celebrazioni religiose anche durante i lavori di ricostruzione, il Vanvitelli realizzò una chiesa sotterranea, indipendente da quella superiore. Un gioiellino assoluto dell’estro vanvitelliano.

Una chiesa sotterranea a pinta rotonda che corrisponde alla cupola superiore dalla quale riceve luce.  Si tratta di un ambiente suggestivo ed architettonicamente complesso: seminterrato, rispetto al livello del cortile, a pianta circolare, a volta ribassata, con sei nicchie-altare nelle quali Vanvitelli sistemò alcune delle sculture sopravvissute all’incendio della chiesa cinquecentesca. Tra le sculture presenti si ricordano una Madonna con Bambino di Domenico Gagini, il Battesimo di Gesù di Andrea Ferrucci (1507) ed altre settecentesche di Francesco Pagano;   2) E’ innegabile che tra Napoli e l’Annunziata intercorra qualcosa di più che un semplice legame storico ma genetico. “Lac pueris” ( Latte ai piccoli) sono le toccanti  parole iniziali di una famosa epigrafe che sovrasta il portone principale della Santa Casa e che riassume gli obiettivi di quella che è stata la maggiore istituzione assistenziale della storia d’Italia.  Non è una forzatura, pertanto, celebrare il sito come il grembo profondo della gente di Napoli. Basti riflettere su un dato oggettivo: In Italia ci sono 35634 famiglie Esposito. E’ il quarto cognome più diffuso in Italia. In  Campania, ove  se ne contano 22462, è il primo cognome.  E’ primo nella provincia di Napoli. E’ primo nel Comune di Napoli.  Esposito è un cognome denso di significato.  Deriva dal latino expositus, “esposto”, ma il suo significato completo risulta essere “esposto alla protezione della Madonna”.

Questo cognome veniva infatti attribuito ai bambini abbandonati davanti a luoghi di carità, come sagrati delle chiese o monasteri. La prima testimonianza scritta del cognome Esposito si ha proprio nell’Archivio della Real Casa dell’Annunziata di Napoli con “Fabritio de anni due gettato” all’Annunziata il 1 gennaio 1623 alle 3 e mezza. Questo cognome fu utilizzato per tutti gli “abbandonati” fino al 1814, quando Gioacchino Murat ne pose il divieto onde impedire che chi lo portasse fosse pregiudizievolmente identificabile di origine ignote o illegittime. Le origini di almeno tre napoletani su dieci sono rinvenibili negli archivi della Real Santa Casa.  

All’interno del complesso oggi è tuttora attivo l’ospedale ubicato in quello che fu il conservatorio delle esposte. A sinistra dell’ ingresso è ancora visibile – benché oggi chiuso – il pertugio attraverso cui venivano introdotti nella ruota gli “esposti”, cioè i neonati che le madri abbandonavano, per miseria o perché illegittimi. Non è agevole accedere a tali ambienti, all’archivio storico dell’orfanotrofio, al preziosissimo succorpo vanvitelliano, attesa la mancanza di personale comunale ivi dislocato in via permanente per garantire l’apertura del sito e l’accesso controllato a tutti i possibili visitatori.

A Roma, nel Pantheon riposano le spoglie mortali solo di uomini insigni e donne blasonate: Annibale Carracci, Jacopo Barozzi, Arcangelo Corelli, Margherita di Savoia, Raffaello Sanzio, Umberto I di savoia, Vittorio Emanuele II tanto per citarne alcuni. L’edificio, costruito in epoca romana come tempio dedicato a tutte le divinità, nel VII secolo fu donato dall’imperatore al Papa e si convertì in basilica cristiana. Prese così il nome di Santa Maria ad martyres. La Basilica dell’Annunziata maggiore, a Napoli, pure ospita le spoglie mortali di illustri reali ( tra tutti la Regina Giovanna d’Angio’) ma, fin dalle origini, fu concepita per assolvere ad una forma di accoglienza diversa: vitale, carnale, terrena, inclusiva e popolare. Il raffronto tra le vicende storiche dei due complessi monumentali è significativo: luoghi di culto, entrambi assunsero grande significato civile, storico, monumentale. Non hanno goduto di pari sorte nella gestione. Sotto la direzione del Ministero della Cultura, ed attraverso la direzione dei Musei statali di Roma, il Pantheon, infatti, fa attualmente registrare un numero di visitatori record ( solo ad agosto oltre 276.000) nonostante per l’accesso sia necessario pagare il biglietto. Al  complesso dell’Annunziata Maggiore, affidato invece alla gestione della diocesi e del Comune di Napoli, la sorte ha riservato abbandono e oblio .

Carmine Ippolito

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