Il canovaccio del caso è collaudato: un giornalista o un attivista punta il dito contro un fatto, un’espressione, una parola tacciati come discriminatori e immediatamente si scatena la canea sui media e sui social. E così il 17 agosto, in un “momento morto” che cade nella settimana di ferragosto, su“Repubblica “ compare un articolo dal titolo: «“Cari omosessuali non siete normali”. Le sparate del generale dell’Esercito contro gay, femministe, ambientalismo e migranti». Il pezzo enuncia temi di un libro scritto, pubblicato ed autoprodotto, da un generale, Roberto Vannacci, già comandante della Folgore. L’autore e’ un valoroso militare di carriera che si è distinto al comando dei reparti che gli sono stati affidati per il compimento di operazioni di pace in vari scenari di crisi. In pochi giorni l’articolo di Repubblica innesca aspre polemiche, determinando: 1) la destituzione del generale dall’incarico di comando dal medesimo ricoperto; 2) l’impennata del numero delle vendite di un libro autoprodotto che, in mancanza del risalto mediatico indirettamente ricevuto da Repubblica, sarebbe stato destinato a restare sepolto nella sostanziale indifferenza generale; 3) una profonda spaccatura nella società sulle opinioni espresse nel testo. Il contenuto del mondo al contrario è più significativo di quanto non si tenda a far credere: se è vero che le idee manifestate dal Comandante Vannacci non sono innovative, rappresentano però, unitariamente valutate, la base del pensiero repubblicano, conservatore, patriottico. Il libro è un compendio esplicativo di una prospettiva critica ed alternativa alla visione, politicamente corretta, globalmente dominante. E, soprattutto, la visione nazional conservatrice viene declinata dall’autore secondo gli schemi concettuali di un militare, e quindi non in politichese ma in termini netti, categorici, insuscettibili di interpretazioni alternative, equilibrismi diplomatici, opportunismi e rettifiche.

Il titolo del libro del generale Vannacci sarebbe piaciuto al Marx dell’ Ideologia tedesca e della critica al Capitale “il mondo al contrario”: l’opera si propone come un vero manifesto politico passibile di vasta condivisione in una società il cui declino cade ineluttabile sotto gli occhi di tutti.
La comprensione di un fatto non consegue però unicamente dalla disponibilità dei dati grezzi utili alla ricostruzione dell’accadimento.
Possiamo dire di conoscere un fatto, ossia di averlo realmente compreso solo allorquando se ne sia acquisita coscienza storica dello stesso. E’ necessario pertanto interpretarlo e guardare al di là del suo senso immediato, per scoprirne il vero e più profondo significato e le possibile ricadute nei processi storici in cui si inserisce.
E, nel caso Vannacci, il fatto assume senso storico non solo per le opinioni dal militare manifestate nel testo. Anzi le opinioni del militare costituiscono l’aspetto discettabile e meno significativo. Sono gli effetti che la manifestazione di quelle opinioni hanno generato a disvelarne il senso sul piano delle possibile ricadute prossime e remote. Le idee espresse nel testo di Vannacci, come in molti casi a questo simili, non costituiscono alcun illecito o reato. Si rivelano, però, non conformi alla diffusa retorica del politicamente corretto: sono opinioni apertamente confliggenti con quella visione del mondo che, nel tempo, ha dato vita a dogmi incensurabili: multiculturalismo, rivoluzione sessuale, fanatismo ambientalista, identità come pura scelta soggettiva. Idee che esprimono concetti ma anche uno stato d’animo diffuso fatto di insofferenza verso la cappa ideologica che ingabbia il dibattito politico e la vita democratica del paese.

La vicenda rende inconfutabile quello che sistematicamente si ripete ogni volta che, nel confronto pubblico, si apre una discussione sui temi ritenuti sensibili. E la peculiarità del caso Vannacci è data dal fatto che, nel suo “mondo al contrario” i dogmi political correttisti vengono censurati e demoliti tutti.
Il caso chiarisce, allora, il ferreo rispetto che si esige ai canoni di una dottrina ufficiale che impone il rispetto di terminologie, censure e divieti. Dopo l’immediata destituzione di Vannacci non residuano dubbi: la retorica politicamente corretta non è un semplice flatus vocis di cui è possibile limitarsi a stigmatizzarne gli aspetti grotteschi e degenerativi. La criminalizzazione di un valoroso combattente – che ha osato esprimere, non solo un punto di vista, ma ha inteso sostenere un quadro di valori condiviso da vasti settori dell’opinione pubblica – dimostra che il politicamente corretto è un apparato ideologico coercitivamente imposto nelle società occidentali. E che, come ogni visione totalitaria della realtà, non ammette dissenso. E così la menzogna raggiunge l’acme perché tutto accade mentre all’unisono si afferma la morte ineluttabile delle ideologie.
Di fronte a questa forza la quasi totalità dei pretesi anticonformisti alla fine indietreggia, si piega, si scusa. Coloro che con fermezza, invece, perseverano nel sostenere idee non allineate vengono penalizzati, marginalizzati, esclusi e le loro idee messe all’indice. Al pari di quanto accade nelle peggiori forme di totalitarismo ideologico di cui pure dovrebbe conservarsi coscienza, oltre che memoria storica.
Il politicamente corretto è fenomeno umano. Di certo destinato a finire, come tutto ciò che è umano.
La vicenda Vannacci ci fa comprendere, in definitiva, che quella attuale è la fase storica di massima espansione di questo fenomeno ideologicamente totalitario. Al contempo, quella attuale è anche la fase in cui nella società stanno prendendo forma soggetti ed aggregati antagonisti, disposti ad abbattere e succedere ai ceti alla cui affermazione tale visione ideologica è funzionale. I tempi dipenderanno dalle aspirazioni e dal coraggio delle rappresentanze del blocco politico repubblicano: si sfalderà per dare vita a inedite sintesi con il globalismo di cui si è proposto quale Katèkhon, forza di contrasto, o si presenterà, intransigente, quale nuovo blocco e cultura egemone?
Carmine Ippolito
